Il triangolo no, non l’avevo considerato.

In questa puntata parliamo di un mistero relativamente recente, visto che l’episodio da cui tutto si fa partire ha poco più di settant’anni, ma nondimeno è assai famoso e ricco di fascino. Buttiamoci quindi a capofitto nelle inquietanti acque del Triangolo delle Bermuda!
Tutti conoscono la storia di questo tratto di oceano quasi isoscele, compreso fra la Florida, l’isola di Puerto Rico o, ovviamente, l’arcipelago delle Bermuda. Un tratto considerato maledetto per via dei molti inquietanti episodi di sparizioni che lo coinvolgono.
Il più famoso risale al 5 dicembre 1945: una pattuglia di cinque aerei Avenger, in volo durante una missione di avvistamento di routine, sparisce nel nulla dopo che il caposquadriglia, aviatore di provata abilità e dal notevole sangue freddo, ha lanciato un inquietante SOS in cui dice che tutti gli strumenti sono impazziti e il mare è diventato “strano”. Immediatamente partono i soccorsi, ma dei due aerei decollati a tale scopo, ne torna solo uno: del secondo, e della pattuglia scomparsa, non si troverà più traccia. È solo uno dei tantissimi casi di sparizioni misteriose associate a quello che non esito a definire “il secondo triangolo più inquietante della storia dell’umanità” (il primo è questo): le cronache narrano di navi misteriosamente scomparse e ritrovate intatte, ma senza equipaggio, sparito nel nulla, a volte addirittura con il pranzo pronto sul fornello. Navi come la Rubicon, la Marine Sulphur Queen, la Stavenger, la Elizabeth, il Bill Verity, lo Sno’ Boy, rinvenute integre e senza alcun problema, ma deserte e senza alcuna traccia che facesse capire cos’era successo, o come la Raifuku Maru, scomparsa e mai più ritrovata, dopo un ultimo drammatico appello: “venite, presto, è tremendo! Non possiamo fuggire!”. Addirittura, Cristoforo Colombo, quando arrivò in quella zona, annotò malfunzionamenti nella strumentazione, il passaggio di una meteora e strane luci nel mare al punto che dovette tranquillizzare la ciurma assicurando che erano presagi che la costa era vicina (e infatti la avvistarono il giorno dopo).
Ma quali sono le cause di questi incredibili avvenimenti? UFO? Manufatti atlantidei? Anomalie gravitazionali? Porte su altre dimensioni? Gestione del tratto di mare affidata all’ANAS? Cosa ha spinto sei aerei dell’aviazione più progredita del mondo (e molti altri in altre occasioni) a sparire senza lasciare traccia?
La risposta, senz’altro deludente, è davvero semplice ed è composta di 3 punti:
  1. La storia della navigazione e dell’aviazione è costellata di incidenti, in questo e in tutti gli altri tratti di mare del pianeta;
  2. Il triangolo è una zona di 2000 km di lato, quindi non certo particolarmente piccola. Inoltre è soggetta a cicloni e tempeste che provocano anche forti venti in quota, quindi non è difficile trovare una ricca casistica di incidenti;
  3. Non bisogna mai fidarsi in modo acritico di quanto si trova su certi libri e su internet, compreso anche quello che ho scritto sopra, che è ripreso in modo abbastanza fedele dal best seller  di C. Berlitz: IL TRIANGOLO MALEDETTO, da cui in pratica è nato questo mito.
La banale realtà è che in questa zona la media degli incidenti è esattamente la stessa che nel resto del mondo. Consultando i registri della navigazione e delle compagnia assicurative (le più interessate in assoluto a scoprire la verità dei fatti, ovviamente), si scopre infatti che, restando agli esempi citati sopra, la Rubicon è stata vittima di un uragano mentre era ormeggiata (fra l’altro, l’uragano si portò via tutto il molo), la Marine Sulphure Queen è affondata in mezzo a una tempesta per un cedimento strutturale, lo Sno’ Boy e il Bill Verity persero la rotta, ma furono tratti in salvo entrambi, la Raifuku Maru affondò durante una tempesta e il suo messaggio mysterioso è attribuibile al pessimo inglese del comandante giapponese. E che dire della Stavenger e della Elizabeth, non registrate in nessun archivio navale e quindi semplicemente inventate di sana pianta dall’autore del libro?
E ancora: Cristoforo Colombo scrisse sì di aver visto una luce nel cielo (una meteora, probabilmente) e che la bussola non funzionava bene, ma è falso dire che ciò causò panico e sgomento in lui e nell’equipaggio. In realtà Colombo si limitò a osservare che non puntava esattamente in direzione della Stella Polare, ma ciò non stupisce nessuno, visto che tale astro non si trova esattamente in corrispondenza del polo nord magnetico. Inoltre, era un marinaio esperto, e capì che la terra sarebbe stata avvistata da un momento all’altro da ben altri segni, come giunchi che galleggiavano sull’acqua o pesci e uccelli tipici delle zone costiere.
E per quanto riguarda la squadriglia di espertissimi piloti americani? Beh, anche qui il discorso è molto diverso da come scritto nel libro di Berlitz: il solo pilota esperto era il caposquadriglia, Charles C. Taylor,  mentre gli altri quattro erano allievi che lo seguivano con fiducia. Peccato  però che Taylor non avesse mai volato in quella zona prima e, quando i suoi strumenti di navigazione si guastarono (succede anche ai superefficientissimi americani), si perse, e con lui anche gli altri quattro aerei che si fidavano di lui. Le comunicazioni con la base furono poco chiare. I soccorsi partirono circa tre ore dopo, quando fu certo che i piloti non erano dove pensavano di essere, ma ormai avevano il serbatoio quasi vuoto, il sole era tramontato e il tempo si era messo al peggio. Finito il carburante, ammararono e poi si inabissarono in meno di un minuto. Nel frattempo, uno degli aerei di soccorso, un PBM-5 Mariner (aereo considerato poco sicuro in condizioni di maltempo) fu visto esplodere a causa del carico di carburante che portava e di un presumibile errore umano. Insomma, una storia tragica senz’altro, ma dovuta a un misto di sfortuna, inesperienza e cocciutaggine. La sequenza di comunicazioni radio è riportata qui, insieme al racconto della giornata, mentre sul sito di Luigi Garlaschelli trovate un breve elenco di altre sparizioni non-poi-così-mysteriose.
Chiudo con una chiosa, che penso sia il vero messaggio importante di questo articolo (che per il resto ha ben poco di sconvolgente): nel 1977 una spedizione italiana, guidata dal compianto Ambrogio Fogar, si recò sul posto per appurare la realtà dei fatti. Quello che trovò, però, fu sostanzialmente un’industria pronta a prosperare sul mito del triangolo maledetto: sedicenti esperti pronti ad avallare qualsiasi ipotesi, a patto che il committente pagasse bene. Ed è proprio questo, il vero messaggio di questa storia: un mistero basato sul nulla, creato ad arte da autori disonesti che hanno omesso particolari risolutivi, hanno spostato in questa zona tragedie avvenute altrove e se ne sono inventati altre di sana pianta. Tutto questo è stato fatto a tal punto che è ormai difficile, cercando su internet, trovare i dati veri in mezzo a quelli fasulli, ormai ripetuti talmente tante volte da essere diventati i più frequenti e quindi, apparentemente, veritieri. Ogni volta che qualcuno condivide un’informazione falsa, rende più difficile la ricerca di quelle vere. Ricordatelo sempre a quelli che lo fanno con troppa leggerezza: la ricerca della verità passa anche da qui.
E dopo questa conclusione filosofica, vi saluto e mi dedico a un mystero molto più difficile e inquitante: cosa rallenta tutte le auto fra Roncobilaccio e Barberino del Mugello??

Mario Sacchi

Sono socio del CICAP (ma non ricopro alcun ruolo particolare e non mi sogno di parlare a nome loro) e convinto assertore della validità del metodo scientifico in ogni campo della vita. Ciò non mi rende meno cialtrone ma fa sempre colpo sulle ragazze*. (*)potrebbe non essere vero.

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