“baffetto buffetto” – Sfoggiare Inutile Erudizione https://www.inutile-erudizione.it Una valida alternativa a YouPorn Sat, 28 Mar 2020 21:20:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 Mein Kampf https://www.inutile-erudizione.it/mein-kampf/ https://www.inutile-erudizione.it/mein-kampf/#respond Fri, 07 Feb 2020 17:18:46 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2660 (Nella foto di apertura: una pausa pranzo tipica delle forze dell’Asse)

Con gli anni mi sono dato una regola personale: per conoscere davvero il mondo devo leggere tutto, guardare tutto, videogiocare a tutto, provare tutto.

Questa regola è stata da me medesimo maledetta in più di un’occasione nella misura in cui sono entrato in contatto con robe terribili quali ‘Sharknado’ o ‘Cado dalle Nubi’ ma in definitiva credo di averci più guadagnato che perso. Soprattutto quando ho avuto a che fare con delle cose che non avrei mai scoperto continuando a stare rintanato nel mio piccolo guscio di cose belle.

 

Un annetto fa mi sono ritrovato in una di quelle serate assurde che si concludono <OMISSIS PER ALTRI 19 ANNI PRIMA DELLA PRESCRIZIONE> alle quattro del mattino a casa di persone random a dormire della grossa davanti a una replica di un concerto dei Led Zeppelin. Mezz’ora dopo vengo svegliato da due di loro a cui gli Zeppelin più che il sonno stimolano gli ormoni e allora, abbastanza demoralizzato da una copula a cui non posso partecipare, recupero la mia roba e me ne torno mestamente verso casa.

Il mattino dopo scopro che nel mio zaino è comparsa misteriosamente una copia del Mein Kampf.
Faccio spallucce e lancio il libro sotto una pila di altri che mai leggerò.

Ultimamente ho del tempo in pausa pranzo per recuperare la montagna enorme di arretrati cartacei.
Rispunta il best seller del baffetto buffetto.

Perchè no?

Come ben raccontato dalla sua prefazione uno dei problemi principali ai suoi tempi era che questo libro venne dato obbligatoriamente ad ogni persona del Reich, venne tradotto e distribuito in tutto il mondo e rese Hitler, fra le altre cose, ricchissimo tramite i diritti d’autore.

La realtà e che in ben pochi lo lessero davvero -prima di tutto perchè era un mattone di 800 e passa pagine e poi perchè lo stile di Hitler è pomposo, retorico e pesante- mentre all’estero quasi tutti lo sottovalutarono e si limitarono a ridicolizzare l’opera ed il suo artefice.

Ritengo di avere i mezzi per leggerlo senza scadere nella mera propaganda.
Ritengo di avere le conoscenze storiche per riuscire a capire perchè quest’opera ha attecchito così tanto nella Germania del primo dopoguerra.
Ritengo di poter, a ragione, essere terrorizzato dal fatto che diversi passaggi scritti qui sopra sono tranquillamente ripresi nella politica di oggi.

Perchè in pochi sanno e quasi nessuno ricorda.

Quindi è un sacco facile reiterare.

Mein Kampf
Adolf Hitler

Ed. Il Giornale Storia: voto 3 reich su 10.

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John Malcolm Thorpe Fleming Churchill https://www.inutile-erudizione.it/john-malcolm-thorpe-fleming-churchill/ https://www.inutile-erudizione.it/john-malcolm-thorpe-fleming-churchill/#respond Sun, 03 Nov 2019 14:38:19 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2605 Per gli amici -e fortunatamente per me che devo scriverne- semplicemente ‘Jack’, ‘Mad Jack’ o ‘Fighting Jack Churchill’ è stato uno dei più badassici figli di puttana generato dalla seconda guerra mondiale che la storia ricordi. Una di quelle personalità che quando appaiono nei film fanno sospendere l’incredulità per qualche decina di minuti.

E’ con grande piacere che vi consiglio di mettervi comodi, fare un respirone e smettere di fare quello che state facendo perchè vado a incominciare a narrarvi la reale storia della sua vita.


Jack nasce a Ceylon, in Sri Lanka, nel 1906 da una famiglia che da due generazioni da parte di padre presta servizio nella Ceylon Civil Service -ricordo chi se lo fosse dimenticato che mezzo mondo in quegli anni era una grande colonia britannica-. Pensando al bene del neonato, la famiglia si trasferisce per un certo periodo nella piccola provincia inglese del Surrey fino a ripartire nel 1910 alla volta di Honk Kong.
Già molto più cosmopolita di quanto io non sarò mai, viene educato presso il King William’s College, sull’isola di Man (uno sputo sul mappamondo in grado di rivaleggiare per lo stato più piccolo del globo).

Che in molti credono essere nei caldi mari del sud.

Dato che proviene da una lunga stirpe di soldati, non appena possibile viene spedito alla prestigiosa accademia militare di Sandhurst dove si diploma nel 1926, prima di decidere di arruolarsi nel Manchester Regiment di stanza in Birmania. Qui trascorre parecchi anni in sella alla sua moto, su strade battute e su altre ancora sconosciute, con l’ordine dall’alto di mappare la rete stradale e i sentieri utilizzabili dall’esercito.
Sfruttando le sue già grandi conoscenze degli usi e costumi locali diventa parecchio conosciuto nella zona e, non ultimo, impara a suonare da buon scozzese una cornamusa che si porta sempre appresso -sì, ORA sembra una skill inutile, riprenderemo il discorso dopo-.

Dopo 10 anni di questa vita decide che gli manca ancora un pezzo di mondo da vedere.
Si ritira dall’esercito e diventa editore di un giornale in Kenya, lavorando nel tempo libero come modello e calcando i primi passi come attore con una piccola parte ne ‘Il ladro di Baghdad’ sostanzialmente Aladin della Disney, prima di Aladin della Disney.

Nel 1938 prende parte ad un torneo di tiro con l’arco delle forze armate britanniche e si piazza secondo, ottenendo così la partecipazione l’anno dopo ai campionati mondiali di tiro con l’arco ad Oslo.

Se già vi sembra che abbia fatto un sacco di cose fin qui, rendetevi conto che dobbiamo ancora iniziare!

Nel settembre del ’39 quel baffetto buffetto di Hitler invade la Polonia, schiantandogli l’esercito nello stesso tempo che voi avete complessivamente trascorso a vedere la prima stagione di Game Of Thrones e si gira con sguardo lascivo verso la Francia.

Jack corre a riarruolarsi nel suo vecchio reggimento che viene spedito nel ’40 a dare a manforte ai mangiarane, che ripongono un sacco -ma un SACCO!- di speranze nella linea Maginot.
Di fronte alla macchina bellica nazista, mossa perfettamente durante il blitzkrieg, le difese francesi durano più o meno come il diniego allo stupro in un porno giapponese e anche Churchill e i suoi devono ripiegare su una guerriglia su piccola scala per cercare di fare quanti più danni possibile.

Durante un’imboscata a una pattuglia tedesca vicino al piccolo villaggio di l’Èpinette, da ai suoi il segnale d’attacco uccidendo con una freccia nel collo il sergente (feldwebel) in capo e divenendo contemporaneamente il primo -e a quanto si sappia l’unico- soldato britannico ad aver ammazzato qualcuno con UN ARCO LUNGO durante la seconda guerra mondiale.

Headshot

Trascorre il resto della sua permanenza in Francia a coadiuvare la resistenza in sella alla sua moto, con in spalla il suo arco e in mano UNA FOTTUTISSIMA CLAYMORE. Quando un suo superiore gli chiese il perché si ostinasse ad andare in giro con una spada a due mani Jack lo guardò sornione e gli disse:

“In my opinion, sir, any officer who goes into action without his sword is improperly dressed”.


Durante la battaglia di Dunkirk viene ferito al collo da una mitragliatrice tedesca durante un’imboscata, Jack se ne batte allegramente la ciolla e in quelle condizioni salva un ufficiale inglese, rimasto anche lui ferito.
I piani alti gli conferiscono per questo la Military Cross e gli propongono un modo per sfruttare al meglio le sue capacità, credo con una conversazione del genere:

“Sai cosa sono i Commandos figliolo?”
“Ammazzano nazisti?”
“Bhe, sì, ma non vuoi sapere…”
“No, andata, dove firmo per arruolarmi?”

Tornato in patria, viene sottoposto insieme ad altri soldati scelti all’addestramento del British Special Force e risulta talmente figo da essere nominato leader del secondo squadrone. La prima missione dei nuovissimi Commandos consiste in un assalto anfibio in una base nazista a Vaasgo, in Norvegia.
Il gruppo comandato da Churchill ha l’ordine di prendere il controllo delle batterie di artiglieria situate nella vicina Maaloy Island, ma come capita spesso in questi casi vengono paracadutati un po’ a cazzo di cane di qualche decina di chilometri più lontani rispetto alla zona di atterraggio preventivata.

Non perdendosi d’animo, Churchill tira fuori la sua CORNAMUSA dalla sacca -sì, sì era paracadutato con una cornamusa- e comincia a suonare “The Marching of the Cameron Man” per tenere alto il morale dei suoi uomini.
Riesce così a recuperare lo svantaggio di tempo sull’assalto e va all’attacco dell’isola SEMPRE SUONANDO LA SUA CAZZO DI CORNAMUSA e tirando granate a destra e a manca.

 

Fermi.

Immaginatevelo con l’acqua gelida fino a metà coscia, con i proiettili che fischiano tutto intorno, i suoi uomini che sparano e muoiono a fianco a lui e la sua cornamusa che suona e si ferma solo per permettergli di urlare “COMMANDOOOOOOOOS!”

Ok, ripartiamo.

Qualche ora dopo l’alto comando britannico riceve il seguente telegramma:
“Maaloy battery and island captured. Casualties slight. Demolitions in progress. Churchill.”

La prova dei Commandos è andata talmente bene che iniziano ad essere schierati in varie operazioni chiave lungo tutti i vari fronti della guerra.
Durante l’assalto di Salerno, Jack e i suoi rimangono bloccati insieme ad un discreto numero di soldati inglesi da varie postazioni di artiglieria situate nel vicino paesino di Piegoletti, difese da una guarnigione numericamente soverchiante. Messo al corrente della situazione, Jack dichiara sornione: “Non me ne frega un cazzo di quanti sono!” e conduce un assalto notturno sulla città.
La sua tattica fu di nuovo solamente quella di urlare “COMMANDOS!” più forte che poteva.

I suoi 50 uomini tornarono al campo con 136 prigionieri e dopo aver fatto un non meglio precisato numero di morti.


L’impresa forse più caratteristica è però quella in cui una mattina torna al campo base accompagnato una decina dei suoi e da QUARANTADUE prigionieri, ARMATO SOLO DELLA SUA SPADA! Era semplicemente scivolato dietro le linee nemiche e aveva preso alle spalle poco per volta un’intera guarnigione di mortai.
I testimoni del suo arrivo parlarono di “un immagine da guerra napoleonica” e nel dubbio lo insignirono della Distinguished Service Order.

Spostato sul fronte Jugoslavo, le cose andarono un po’ meno bene e durante un azione sull’isola di Brac nel mar Adriatico finisce completamente circondato, senza munizioni e con tutti i suoi uomini morti e morenti attorno.
Impossibilitato a muoversi fa l’unica cosa che gli resta da fare, suona una canzone tristissima alla cornamusa e attende che gli scoppi di granata si avvicinino, poi il buio.
.
..

Naa! Mica era morto, tranquilli!


Avendo anche una discreta dose di culo le granate non lo feriscono praticamente che di striscio, viene catturato e spedito a Berlino per essere interrogato prima di essere rimbalzato verso il Sachsenhausen Concentration Camp.

Da dove (ovviamente) fugge nel settembre del ’44 dopo aver strisciato sotto metri di filo spinato e campi minati.
Viene ribeccato sulla costa del Baltico e spedito a calcioni in un altro campo di concentramento in Austria.
Anche qui il soggiorno dura poco, riesce a scappare nell’aprile del 1945 e a farsi 150 miglia a piedi sulle Alpi, prima di ricongiungersi con una colonna statunitense.

Rimpatriato, con la guerra che volge ormai al termine, ottiene di farsi mandare in Birmania dove aveva in programma di ripartire per andare a combattere i giapponesi, ma gli Stati Uniti decisero di essere più magnanimi e invece di spedirgli un Mad Jack optano per sganciare sull’impero del Sol Levante due bombe nucleari.
Appresa la notizia, Churchill si arrabbia non poco dicendo che “se non era per questi fottuti yankee la guerra poteva durare per un altro paio d’anni”.

La vita avventurosa di Jack non era finita proprio per un cazzo, all’età di 40 anni diventa istruttore di paracadutismo e decide di inseguire l’azione. Entra nel mondo dei mercenari a pagamento e assoldando qualche suo vecchio compagno si sposta in Palestina, dove organizza le scorte dei convogli Israeliani.
Finisce in mezzo alla merda un paio di volte, soprattutto quando un convoglio medico viene assaltato da soverchianti forze armate e quasi tutti gli occupanti finiscono letteralmente squartati vivi davanti ai suoi occhi, ma ancora una volta per miracolo riesce a salvarsi.
Nella sua ultima azione sul campo evacqua un ospedale pieno di malati sotto al fuoco dei razzi palestinesi e decide che, cazzo, ne ha abbastanza.

Si trasferisce in Australia, diventa istruttore in un’accademia militare e si appassiona al surf, divenendo a 59 anni il primo uomo a cavalcare le onde del Severn (il più lungo fiume del Regno Unito).

Anche da pensionato non rinuncia ad essere badass.

È famosa la storia secondo cui era solito prendere il treno che lo riportava a casa e spaventare passeggeri e controllori gettando le sue valigie dal finestrino prima di arrivare in stazione perché “tanto abito vicino alla ferrovia, praticamente così li tiro in giardino”.

Muore nel Surrey nel 1996 dopo una vita che ne vale almeno dieci normali.

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James Otto Richardson https://www.inutile-erudizione.it/james-otto-richardson/ https://www.inutile-erudizione.it/james-otto-richardson/#respond Wed, 13 Mar 2019 18:08:47 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2277 “Dei se e dei ma son piene le fosse!” vale a dire -come mi ha spiegato tempo addietro a ceffoni quella santa di mia nonna- che son tutti bravi a posteriori a fare ipotesi ed obiezioni.

Non è il caso di oggi, in cui le problematiche sono state indicate ben prima che si verificasse l’avvenimento in questione, che poi ignorare gli avvertimenti abbia dato vita ad uno dei più grandi ‘te l’avevo detto’ della storia è la parte divertente.

-divagazione attinente quel tanto che basta per sentirmi felice-

Adoro le ucronìe.
Il termine (derivante dal greco οὐ = ‘non’ e χρόνος = ‘tempo’) è associato per analogia a utopia (‘nessun luogo’), indicando una narrazione di quel che sarebbe successo se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente.
La Germania nazista che domina il pianeta?
Ucronìa.
Hitler che viene ammesso all’accademia di belle arti diventando un anonimo pittore invece di un discreto dittatore?
Ucronìa.
I vichinghi che stringono alleanza con i pellerossa arrivando a dominare gli Stati Uniti odierni semplicemente non commerciando latte al loro primo incontro i nativi erano intolleranti ed il dono causò un’epidemia di caghetta che venne scambiata per un tentativo di avvelenamento-?
Ucronìa.
Cristoforo Colombo che affonda con le sue caravelle in mezzo all’oceano?
Ci siamo capiti.

Ucronie.

Trovo questo metodo di racconto affascinante perchè tolte tutte le divagazioni fantascientifiche sui viaggi temporali (e relativi effetti farfalla) permette di aprire finestre ipotetiche su mondi che non ci saranno mai -affermazione che cozza con la teoria del multiverso- e con versioni della storia dominate da società utopiche o distopiche, a seconda della mentalità con cui le si approccia.

Prendiamo Pearl Harbour.
Quante realtà si schiudono se si considera come sarebbero potute andare le cose con l’imperatore Hirohito che si ‘accontenta’ di un espansionismo circoscritto alla Cina, tralasciando l’Indocina e interessandosi solo in seguito al Pacifico.

Ma andiamo con ordine…

5 ottobre 1937: Franklin Delano Roosevelt, trentaduesimo presidente degli Stati Uniti -ottant’anni prima che il titolo rimandasse a manine minuscole e toupet imbarazzanti- pronuncia davanti ad una platea riunita a Chicago il ‘Discorso della Quarantena’, in cui indica come sia necessario agire concretamente nei riguardi delle nazioni responsabili di guerre ed illegalità internazionali per isolarle dai paesi pacifici ed evitare così il diffondersi del “morbo della violenza, dell’aggressione e della sopraffazione” -una descrizione che ben si accompagnerà in seguito alla politica estera americana, ma soprassediamo-.

Per la prima volta vengono biasimate pubblicamente Italia, Germania e Giappone (pur senza mai farne i nomi apertamente) colpevoli di aver messo in piedi un sistema espansionistico violento, militare ed aggressivo.

Queste parole hanno un duplice effetto:
da un lato infervorano i promotori delle correnti isolazionistiche americane che predicano la ferma necessità di mantenere un’assoluta neutralità nei riguardi dei problemi europei.
dall’altro innervosiscono soprattutto il Giappone, che giustifica la sua invasione della Manciuria paragonandola alla conquista del vecchio West e si erge a difensore dei popoli asiatici contro il colonialismo dei bianchi.

Il 12 dicembre dello stesso anno si verifica quella che viene considerata la vera risposta al discorso di Roosevelt: dodici aerei nipponici affondano la cannoniera USS Panay ancorata al largo di Nanchino.
Il Giappone si scuserà (poco convincentemente) in seguito asserendo di aver scambiato la Panay per una nave cinese, ma i tre marinai a fondo delle acque dello Yangtze non sono più in grado di scusare nessuno.

USS Panay.

Col passare del tempo i rapporti fra le due nazioni diventano sempre più tesi, con da una parte gli Stati Uniti che pur rifornendo di armi i patrioti cinesi, promuovendo embarghi contro il Sol Levante e rafforzando la Royal Navy nell’Atlantico non sono ancora disposti a schierarsi apertamente e dall’altra un Giappone che in cerca di alleati il 27 dicembre 1940 firma il ‘Patto Tripartito’ con le potenze dell’Asse per suddividersi a guerra finita le varie zone del mondo, implicando fra le altre cose il darsi manforte a vicenda in caso di difesa e (ben più rilevante per la situazione politica) di offesa.

-FRATTANTO IL NOSTRO EROE-

James Otto Richardson nasce a Paris, in Texas, nel 1878 e non appena l’età glielo permette si getta a capofitto in una brillante carriera militare che lo porta a diplomarsi come cadetto alla Naval Academy del Maryland (classe 1902) per poi scalare i ranghi sotto la bandiera della Flotta Asiatica (il gruppo di navi da guerra statunitensi che staziona ad est del continente più grande del mondo sin dal 1868).
Si fa le ossa in combattimento durante la repressione dell’insurrezione della repubblica di Tagalog che porta in tutte le Filippine, oltre ai ventimila morti combattenti, trentaquattromila morti civili diretti e DUECENTOMILA derivanti dall’epidemia di colera che si scatena in seguito.

“Sparate a quel colera!”

Dal giugno del 1939 viene posto al comando sia della flotta da combattimento USA di stanza nel Pacifico che di quella d’osservazione nell’Atlantico con il titolo temporaneo di ammiraglio. Non è per caso se ricopre questo ruolo, in quanto per anni si è dedicato a conoscere cultura, societá, armamenti e metodi di ingaggio Nippon -inteso come Giappone, NON come i biscotti- e ne è divenuto uno dei principali esperti gaijin.

-FRATTANTO (2), NEL MONDO-

Marzo del 1941: il ministro degli esteri giapponese Yōsuke Matsuoka è in missione diplomatica nella terra dei pretzel e del bratwürst, quando il baffetto buffetto Adolf gli concede un’udienza importante.
Hitler fa capire ai giapponesi come é nell’interesse di tutte le forze dell’Asse l’inizio di un’espansione verso il sud del Pacifico per impegnare così le potenze anglosassoni (Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) sottraendo le risorse con cui stanno mantenendo in vita (grazie all’invio continuo di carghi di rifornimento) il lumicino della speranza della resistenza britannica ad un’invasione tedesca via terra.


La grossa falla nel piano di BB -Baffetto Buffetto- è tenere nascosta l’imminente offensiva in programma contro l’Unione Sovietica tramite l’Operazione Barbarossa. Matsuoka si ritrova in aprile a Mosca al cospetto dell’altro BB -Baffone Buffone- Stalin per stipulare un patto di non aggressione russo-nipponico che permetterà ad entrambi gli schieramenti di smobilitare forze dalla Manciuria per dedicarle ad altri punti caldi della guerra.
Nello specifico questa mossa da un lato fornisce gli effettivi necessari alla Russia per l’estrema resistenza (fra le principali cause della sconfitta del Reich) e dall’altra concede allo stato maggiore del Giappone l’elaborazione del progetto di politica nazionale di espansione nel Pacifico che prevede il completo isolamento della Cina e la creazione della cosidetta ‘Sfera di co-prosperità della grande Asia Orientale’.

L’Impero giapponese nel suo momento di massima espansione.

Quando il 21 giugno il generale Hideki Tōjō sostituisce Matsuoka, muove immediatamente alla conquista della Cocincina (Vietnam del Sud), ricevendo in cambio da Roosevelt un completo embargo sul petrolio ed altri prodotti strategici (di cui gli USA sono i loro principali fornitori), il congelamento dei beni nipponici su suolo americano ed il divieto assoluto di utilizzo del canale di Panama controllato dagli inglesi.
Tutte cose di cui il Giappone necessita.
Terribilmente.
In luglio l’ammiraglio Nagano in un incontro con l’imperatore Hiroito si mostra pessimista circa le possibilità di sconfiggere gli Stati Uniti a queste condizioni e fa notare come le riserve di carburante che muovono l’intera macchina bellica Nippon dureranno all’incirca un anno e mezzo (ben al di sotto del tempo necessario anche solo per considerare di concludere la questione cinese).
Occorre quindi darsi una mossa e conquistare in fretta le risorse energetiche nelle Indie Olandesi per mantenersi attivi sullo scacchiere mondiale.

-FRATTANTO (3) MA UN PASSETTINO PIÙ INDIETRO, IL NOSTRO EROE-

Il popolo americano ha un grande orgoglio di sè contornato da una notevole dose di patriottismo.
Sulla carta è una cosa buona, intendiamoci, ma in molti casi ‘orgoglio di sè’ coincide con ‘siamo i migliori del resto degli sfigati che popolano il mondo!’, una cosa che in politica estera è sempre pericolosa da pensare.

Gli Stati Uniti vedono il Giappone come un popolo inferiore e con una incomprensibile e lontana cultura retrograda.
Il Sol Levante dal canto suo percepisce gli americani come dei barbari prepotenti senza onore e pienamente appartenenti a quell’occidente che per secoli ha spadroneggiato in lungo e in largo facendo i suoi comodi ed ora chiosa preoccupato che l’imperatore ottenga finalmente tutte le terre che gli spettano per diritto divino.

Questa la situazione in termini generali.

Esistono -e spero esisteranno sempre- però persone che provano a guardare al di fuori dal pozzo in cui vivono e sono in possesso di un’apertura mentale sufficiente ad avere la curiosità di conoscere (quando non di apprezzare) culture differenti.

Richardson, come già detto, è uno di questi casi e in più ricoprendo uno dei ruoli più importanti dell’intera macchina da guerra statunitense ha ben chiaro come sia un grave errore sottovalutare i nipponici.

Nel 1940 Roosevelt gli ordina di far spostare il grosso della flotta del Pacifico dalla sua fonda tradizionale di San Diego, California alla base di Pearl Harbour, Hawaii.


L’ordine arriva senza che lo stato maggiore si sia incontrato con i consiglieri militari in carica (fra cui Richardson) e il nostro protagonista protesta vibratamente a Washington dichiarando quanto sia azzardato far dispiegare una parte così considerevole di forze in una base così avanzata senza possedere una adeguata copertura aerea, una adeguata logistica di supporto e soprattutto una adeguata preparazione dei suoi marinai che percepiscono la guerra come una cosa ancora molto distante sia temporalmente che geograficamente.
Si stava andando a formare su Pearl Harbour un grosso bersaglio goloso e Richardson lo scrisse chiaro e tondo in una lettera ufficiale all’ammiraglio Harold Rainsford Stark, capo delle operazioni navali della marina:
“…ritengo che una delle opzioni al vaglio del nemico possa essere UNA TATTICA DI GUERRA FONDATA SU UN GRANDE ATTACCO PREVENTIVO PER COGLIERCI IMPREPARATI E FARE DANNI NOTEVOLI A TUTTA LA NOSTRA STRUTTURA DI COMANDO, PARALIZZANDO PER MESI LE NOSTRE OPZIONI NELL’INTERO PANORAMA DEL PACIFICO”.


Spero non sia davvero necessario indicare quanto un sacco aveva ragione il buon James. Sta di fatto che per premiarlo per la sua lungimiranza dalla Casa Bianca decidono che sia un’ottima idea LICENZIARLO durante la riorganizzazione della flotta del primo febbraio 1941, passando il comando della neonata ‘Pacific Fleet’ a Husband Edward Kimmel, che avrà in seguito diversi motivi per pentirsene.

“Pareva una così bella promozione!”


-FRATTANTO (4) NEL MONDO-

Il Giappone dopo l’embargo deciso da Roosevelt è di fronte a due scelte possibili per uscire dallo stallo:
Lasciare cadere tutte le pretese di costruire un grande impero in Asia oppure continuare l’espansione in Cina rinunciando però all’Indocina, cedendo alle richieste degli USA e mostrandosi così estremamente vulnerabile.
Nell’estate del 1941 l’aumento della presenza anglosassone nel Pacifico comincia a preoccupare di molto l’alto comando nipponico che inizia ad intravedere una terza opzione chiamata Pearl Harbour.

Isoroku Yamamoto è l’ammiraglio in capo dell ‘Flotta Combinata’ del Sol Levante ed è dalla primavera del 1940 che, conscio della superiorità americana riguardo risorse e industria in caso di conflitto prolungato, sta elaborando un piano per poter sferrare un colpo decisivo alla flotta principale USA “per poter decidere l’esito della guerra sin dal primo giorno”.

Yamamoto.

La ‘Notte di Taranto’ (11-12 novembre 1940) gli da un indizio importante su come muoversi: 20 aerosiluranti della Royal Navy britannica bastano per infliggere dei danni pesantissimi alla Regia Marina italiana -un giorno magari ne parlo meglio, per oggi non divago-

Il porto di Taranto.

Il Giappone può fare meglio degli inglesi, senza dubbio.

Yamamoto considera per parecchio tempo l’idea di un ‘katamechi kogami’ (un attacco suicida su larga scala, di sola andata e da lunghissime distanze) ma poi il comandante Minoru Genda porta alla sua attenzione un piano ancora più elaborato ed ambizioso che prevede anche sopravvivenza di parecchi piloti e velivoli -contrariamente a quanto passa l’immaginario collettivo gli attacchi suicidi in quel particolare frangente erano fermaemente sconsigliati a meno di ultima risorsa nel caso si terminasse completamete il carburante in volo-.

Minoru Genda.

-SEGUONO DIVERSI ‘LO AVEVA DETTO’

La base di Pearl Harbour è lontana dalle coste protette degli Stati Uniti (Richardson lo aveva detto) ed è ben conosciuta dai Giapponesi (Richardson lo aveva detto) che sono in possesso di mappe accurate e di foto aeree dato che lo spazio aereo non è interdetto (Richardson lo aveva detto). In più sono presenti sull’isola una caterva di spie giapponesi che conoscono per filo e per segno quali navi sono ormeggiate, dove e con quanti uomini a bordo (Richardson lo aveva detto).
I marinai americani si sentono quasi in vacanza sulle spiagge hawaiane (Richardson lo aveva detto) ed inoltre il sistema di spionaggio e controspionaggio USA fa girare le informazioni PRIMA verso Washington e solo in seguito verso gli ammiragli in capo, che devono decidere solo a cose fatte (Richardson NON PUÒ SAPERLO dato che questa informazione uscirà in seguito durante il processo di Kimmel che aveva come obiettivo trovare un capro espiatorio a quello che sta per succedere).


Genda era uno dei tipi più cazzuti della seconda guerra mondiale, con tutte queste informazioni mette in piedi una squadriglia aerea d’attacco con i controcavoli che viene dotata di velivoli dalla manovrabilità eccezionale (il caccia leggero Mitsubishi A6M Zeke, o Zero), adattati al meglio per la zona specifica (delle modifiche ai siluri, ad esempio, li rendevano utilizzabili anche nelle acque basse della baia).


Per portare a tiro gli Zeke e le relative portaerei Yamamoto ha inoltre un altro colpo di genio, facendo percorrere all’intera flotta la rotta più lunga (e pericolosa) posta a nord delle Isole Marianne e piombando così sulle Hawaii da una direzione inaspettata dopo aver fatto un giro lunghissimo ma con l’indubbio vantaggio di arrivare a segno senza incrociare alcuna rotta mercantile.

Il piano era colpire durissimo, paralizzare l’intera flotta ed impossessarsi delle posizioni chiave in tutto quel tratto di oceano per continuare ad espandersi nonostante l’embargo e costringere così in difesa l’intero apparto Alleato.
Il piano riesce a metà -non ho intenzione di ripercorrere adesso tutte le fasi dell’attacco a Pearl Harbour e dell’offensiva nel Pacifico, me le tengo buone per un’altra volta- e al costo di cinque sommergibili tascabili affondati e trenta aerei abbattuti le forze di Yamamoto affondano cinque corazzate, due cacciatorpedinieri, distruggono 188 aerei e fanno 2402 morti (più 52 civili di cui ci si dimentica facilmente).

Solo un problema.

Il tutto è stato fatto senza una dichiarazione di guerra, o più precisamente senza FORMALIZZARE la dichiarazione di guerra.


La diplomazia era in stallo da diverse settimane, come abbiamo visto l’obiettivo del Giappone era di sbarazzarsi dell’embargo e quello degli Stati Uniti di evitare la presa dell’Indocina. Le trattative proseguirono SIMULTANEAMENTE alla partenza della flotta di Yamamoto che però da buon seguace del bushido era impensabile (anche pur volendo effettuare un attacco preventivo) che si lanciasse all’attacco in completa assenza di una dichiarazione di guerra.
Secondo i piani difatti, l’attacco giapponese doveva iniziare ESATTAMENTE mezz’ora DOPO che la ratificazione giungesse a Washington, come completamento di una relazione iniziata il giorno prima.
Così non fu, dato che una sequela di errori marchiani di invio delle informazioni, traduzioni e recapito ritardarono il tutto ad attacco già in pieno svolgimento.

Mi rendo perfettamente conto che TRENTA MINUTI di avviso all’inizio di una guerra è un tempo che permette giusto di poter cavillare a posteriori, ma va detto che senza questo errore l’attacco a Pearl Harbour sarebbe stato QUASI giustificabile nell’ottica di un conflitto guerra e che, soprattutto, senza la promessa di un attacco onorevole ben pochi soldati nipponici avrebbero accettato di svolgere il loro dovere (difatti esistono soverchie testimonianze di anziani reduci giapponesi che hanno appreso solo in seguito che nel mondo la loro impresa eroica e preparata fin nei minimi particolari era stata percepita come un attacco vigliacco ed infamante e di come questo li ha fatto percepire solo allora quanto la propaganda gli aveva mentito).

Va altresì detto che era BEN PIÙ DI UN ANNO che lo spionaggio americano aveva decrittato il ‘Purple Code’ con cui le ambasciate giapponesi comunicavano in patria ed erano quindi ben informate di un attacco prossimo nel Pacifico, alzare di parecchio il livello di guardia sarebbe stato utile.


A voler essere stronzi -o complottisti, in molti casi è dire la stessa cosa- Roosevelt indirizzò abilmente gli eventi in questa direzione per sacrificare le vite di più di 2.000 uomini ed avere finalmente un motivo concreto per compattare il paese contro un perfido nemico comune, smuovere le masse neutrali alla guerra e finalmente ergersi in difesa della libertà che stava venendo schiacciata dai regimi autoritari.

Personalmente credo che l’attacco sia stato un’ottima motivazione per raggiungere questi obiettivi, ma non che sia stato volutamente provocato.

-sì, potrei iniziare a sproloquiare sul golfo del Tonchino o sull’attentato al World Trade Center e su come l’America sia sempre stata brava ad utilizzare in seguito fatti simili per i propri interessi, ma direi che è ora di chiudere-.

L’attacco di Pearl Harbour rinsalda l’intera opinione pubblica USA, gli arruolamenti aumentano in maniera vertiginosa e l’intera macchina industriale si converte in massa alla produzione di guerra. L’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti rende la Seconda Guerra Mondiale davvero MONDIALE e fornisce un’enorme boccata d’aria all’Inghilterra che stava ormai rantolando sotto la pressione dell’Asse.

Pearl Harbour sarà anche il motivo per cui per molto tempo si parlerà di giorno dell’infamia’ e per cui anni dopo, si giustificherà l’impiego della bomba atomica.

Pearl Harbour nonostante gli evidenti errori di intelligence vedrà condannare come colpevoli solo l’inefficienza degli ammiragli Stark e Kimmel che perdono due ranghi e poi si congedano nel disprezzo generale.

Il tutto mente James Otto Richardson tutte le volte che entra in un bar racconta la storia di come lui sono anni che l’aveva detto che spostare la flotta a Pearl Harbour era un’idea balorda.

Ma si sente tutte le volte rispondere “dei se e dei ma son piene le fosse”.

E allora me lo vedo incrociare le braccia e fare quell’espressione che ha nella sua foto più famosa.

“Checcazzo però!”

 

 

Yamamoto.

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Hiroo Onoda https://www.inutile-erudizione.it/hiroo-onoda/ https://www.inutile-erudizione.it/hiroo-onoda/#respond Thu, 10 Jan 2019 18:41:18 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2097 Il Giappone! Uno splendido paese con una cultura magnifica sotto parecchi punti di vista e meno per altri.
Un esempio di questi ultimi è la repressione in pubblico di alcuni fra i sentimenti più umani che si possano provare oppure la schiacciante pressione sociale che non risparmia nessuno in nessuna fascia d’età. Tutte cose che unite insieme hanno portato a sfornare un enorme quantità di pornografi sniffamutandine tentacolari che fanno tanto tanto Japan.

Tipo.

Ritengo che parte del fascino che esercita su molti di noi occidentali la terra nipponica derivi dai due secoli (1641-1853) di Sakoku, l’isolazionismo estremo voluto dai Tokugawa che portò da un lato uno dei periodi di pace più lunghi della storia del paese con conseguente enorme sviluppo indipendente da influenze esterne della cultura giapponese e dall’altro che per lo stesso motivo soffrì poi di un’assenza di modernizzazione che facilitò in seguito le ingerenze di tutte le nazioni straniere con cui aveva tentato con forza di avere meno contatti possibili.
Ma questa, come si suol dire, è un altra storia. A noi interessa la cultura.


Un aspetto caratteristico, forse tra i più conosciuti (ma meno compresi fino in fondo) è quello del Bushido: la ‘via del guerriero’. In ogni cultura vi è un codice di morale, fa parte del nostro vivere organizzati in una società ed è ciò che -purtroppo- mi impedisce di strangolare chi gira per strada bullandosi della propria stupidità.
Il Mos Maiorum romano, la cavalleria medioevale, la carità cristiana, sono tutti esempi più comprensibili a noi europei. Nessuno di essi spiega davvero quello di cui tratta il codice dei guerrieri giapponesi perchè sono presenti aspetti che ci risultano profondamente alieni.
Il succo è che il Bushido, con sette e più secoli di sviluppo ininterrotto sulle spalle, è talmente radicato nella cultura nipponica che ha portato nella storia (anche recente) allo sviluppo di avvenimenti che a noi paiono strani e incomprensibili, financo stupidi sotto una certa luce, ma rimangono straordinari sotto un’ottica che esalta allo sfinimento virtù come obbedienza, fedeltà, onore e sacrificio.
Tipo le storie sui ‘soldati fantasma’ giapponesi…


1944:
la seconda guerra mondiale impazza ormai da cinque anni un po’ dappertutto rimanendo in testa alla hit parade delle cagate più grosse mai compiute dall’umanità.
Mentre in Germania quel baffetto buffetto di Hitler sta cominciando a chiedersi se non sarebbe stato meglio continuare a fare quadri di merda nella vita (dato lo sbarco alleato in Normandia, l’avanzata sovietica a oriente e la bomba che in luglio gli è quasi esplosa sotto il culo -dell’‘operazione Valchiria’ magari ne parlo un’altra volta-), dall’altra parte del globo le forze dell’Asse non se la stanno passando molto meglio.

Il traffico mercantile nipponico è gravemente compromesso dalla quantità di navi alleate in azione nel Pacifico e la quasi totale assenza di unità antisommergibile rende la vita dei sottomarini americani una pacchia. Spronato da ciò, l’alto comando statunitense decide in una doppia avanzata frontale con l’obiettivo di raggiungere al più presto possibile il Giappone e spostare il conflitto a casa del nemico.
Pur perdendo terreno, il primo ministro Hideki Tojo da buon samurai non si scompone ed ordina invece una riorganizzazione delle risorse per mandare da una parte rinforzi alle guarnigioni rimaste isolate nel Pacifico e dall’altra per organizzare un avanzata nella Cina meridionale ed evitare di ritrovarsi così a tiro dei bombardieri B-29.

La situazione, ben descritta dalla propaganda statunitense.

 

Tojo.

In questo contesto il nostro Hiroo Onoda ha appena terminato il suo addestrindottinamento nell’accademia di Nakano per diventare un ufficiale comandante nella Futamata Bunko, sostanzialmente un distaccamento di truppe speciali che si sarebbe dovuto spargere nei vari avamposti e aveva come obiettivo principale quello di organizzare una guerriglia serrata per rallentare in ogni modo l’avanzata del nemico.

Onoda, fresco d’accademia.

Il nostro soldatino coraggioso arriva a Lubang, una delle dozzine di isole filippine occupate ed una tra le dozzine sotto organico per essere decentemente difesa. Facendo quel che può con quel che ha (pochi uomini e ancor meno mezzi) riesce, abbastanza straordinariamente, a creare una difesa in grado di reggere anche ad un assalto di medie proporzioni ma purtroppo per lui l’anno successivo vede nel settore un’avanzata alleata di larga scala:
cannoneggiamento dalle navi sulle spiagge, ulteriore bombardamento aereo pesante (atto a ridurre in briciole ogni residua difesa) e invio successivo di una soverchiante quantità di truppe di terra che ha l’unico compito di uccidere qualsiasi cosa che anche solo somiglia ad un soldato giapponese -i civili filippini l’hanno ben compreso e quindi girano con le palpebre più spalancate possibile-.


La guarnigione nipponica viene letteralmente massacrata e sopravvivono in quattro, tra cui il nostro Onoda correndo a riorganizzarsi nella giungla sulle montagne, perdendo ogni contatto col comando centrale.

Intanto la guerra finisce.

Va detto che sarebbe potuta finire anche prima, ma l’imperatore Hirohito (sempre per la storia dell’onore), rifiutava di raffrontarsi con la realtà pensando di poter ancora vincere, o quantomeno (qui a ragione) di far pagare un prezzo altissimo a chiunque avesse provato a invadere il paese via terra.
Questo fino a che tutto il mondo vede quanto è grosso il cazzo dell’America.
Fino ai sessantamila morti in un solo attacco, in grado di spazzare via una città intera in un attimo.
Fino ai funghi nucleari.
Inghiottendo a fatica il rospo, il 15 agosto 1945 viene firmata la resa incodizionata del Giappone.

Vedendo la distruzione a Hiroshima non c’era davvero una scelta.

Nel frattempo a Lubang, sotto il comando di Onoda, i pochi superstiti della guarnigione iniziano a fare l’unica cosa per cui sono stati addestrati, la guerriglia.
PER ANNI mettono ordigni improvvisati su strade e risaie, cercando di fare il possibile per tagliare le linee di comunicazione e di approvigionamento di quello che credono il nemico e rubano il necessario per la loro sopravvivenza, rimanendo nascosti nella fitta giungla filippina e continuando a combattere in nome dell’imperatore, considerando i proclami sulla vittoria alleata come mera propaganda nemica.
Poi nel ’49 qualcosa cambia.

Yuichi Akatsu
è un attimino stufo di dover vivere come un animale, di dover essere ogni giorno braccato da gruppi di contadini isterici e di combattere per un ideologia che in tutti questi anni gli è crollata davanti un pezzo dopo l’altro. Un giorno, semplicemente, va nel villaggio più vicino e si arrende.
QUATTRO ANNI dopo la fine ufficiale delle ostilità.
Racconta la storia sua e dei suoi commilitoni (che intanto hanno registrato il suo gesto come codardia e proseguono indefessi nella lotta) e le autorità, stupite, decidono per tentare di convincerli di far paracadutare copie di pubblicazioni giornalistiche degli ultimi anni, foto delle loro famiglie lasciate in Giappone e lettere che li supplicano di tornare in patria.

“Tsè! Questi cani occidentali credono di fregarci con mezzucci del genere!
Evidentemente la nostra lotta sta riuscendo più di quanto credevamo se si sono presi il disturbo di fare tutte queste finte lettere per cercare di convicerci, continuiamo a combattere, miei fratelli, l’imperatore sarà fiero di noi!”

La guerra, per i tre rimasti, continua.

“E veniteci a prendere!”

Gli anni passano, la popolazione dell’isola però è stufa di rischiare di incorrere continuamente in ordigni improvvisati, agguati e rapine.
Si organizzano battute di caccia nella giungla ma nessuno trova nulla, se non diverse trappole (l’essenza stessa della guerriglia, come anni dopo il Vietnam insegnerà agli americani).
Col tempo feriti e morti si accumulano, ma nel 1954 Shoichi Shimada viene colpito durante un conflitto a fuoco con una pattuglia di polizia filippina.
Restano in due.
Kozuka Kinshichi fa la stessa fine nel 1972, VENTISETTE ANNI dopo la fine della guerra.

Shoichi Shimada.
Kozuka Kinshichi.


Il tenente Onoda è rimasto da solo e giura che porterà con sé quanti più nemici possibile prima della fine.

In patria, nel frattempo, nonostante Hiroo sia stato dichiarato ufficialmente deceduto, le storie di Akatsu convincono la famiglia a mobilitarsi e sono compiuti diversi tentativi sia dal padre che dalla sorella per provare a rintracciarlo e convincerlo che ormai è tutto finito.
L’unico a scovarlo però è Norio Suzuki, un giornalista nipponico che lo incontra dopo quattro giorni di ricerca estenuante e facendo leva sulla sua solitudine riesce a parlargli e scattargli delle fotografie.

“This hippie boy Suzuki came to the island to listen to the feelings of a Japanese soldier. He asked me why I wouldn’t come out. I said that if the war was over and i received an order telling me to stop fighting I would come out.”

Tornato in patria, Suzuki ribalta il Giappone e rintraccia il diretto superiore di Onoda, il maggiore Taniguchi e lo prega di recarsi a Lubang poiché è l’unico uomo al mondo che può porre fine a questa follia.

Ora, se avete visto Rambo (che da questa storia ha preso più di qualcosina) avete ben presente la scena di un soldato che, in lacrime, incontra il suo superiore in uniforme e lo abbraccia chiedendogli se è davvero tutto finito…

Hiroo Onoda si arrende ufficialmente alle autorità filippine, dopo VENTINOVE anni di guerriglia dalla fine del conflitto mondiale, sette mesi prima dell’ultimo ‘soldato fantasma’ giapponese della storia, Teruo Nakamura, con una storia molto simile, a Taiwan.

Il nostro tenente viene rimpatriato con tutti gli onori ma a differenza di Nakamura che ha fatto una fine molto più anonima e triste, viene accolto come nel ’72 fecero con Shoici Yokoi, altro ‘soldato fantasma’ che divenne famoso per aver detto all’imperatore “mi vergogno molto di essere ritornato da voi, vivo”.


Come Yokoi, nemmeno Onoda riuscì a riabituarsi alla vita civile in una patria radicalmente cambiata. Emigrò in Brasile restando per anni in Sudamerica, mettendo su famiglia e tornando in Giappone solo in tempi recenti.
Il suo ultimo periodo lo trascorre a Tokio e dimostrando una discreta longevità (per uno che a trascorso quasi trent’anni vivendo in una giungla) muore 92enne a Tokio.

Per lo stesso discorso fatto all’inizio, quando si parlava del bushido, la storia della sua vita può essere straordinariamente eroica sotto una luce o straordinariamente stupida, sotto un altra.
Valutatevelo da soli.

Hiroo era dotato anche di un talento nella scrittura non indifferente -un talento che al giorno d’oggi serve abbastanza a poco se non sai stare entro i 140 caratteri di Twitter, se non scrivi per uno Youtuber o se non fai vedere le tette- ed ha pubblicato un libro sulla sua storia ‘No Surrender: My Thirty-Year War’ (in italiano ‘Io non mi arrendo’) che negli anni ’80 diviene un bestseller a livello mondiale.


Sono anni che cerco di recuperarne una copia, ma si vede che conosco solo librai sbagliati.

 

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