Etiopia – Sfoggiare Inutile Erudizione https://www.inutile-erudizione.it Una valida alternativa a YouPorn Sat, 28 Mar 2020 21:21:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 Hailè Selassié https://www.inutile-erudizione.it/haile-selassie/ https://www.inutile-erudizione.it/haile-selassie/#respond Tue, 14 May 2019 17:11:31 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2403 Se frequentate questo blog da qualche tempo dovrebbe ormai risultarvi chiaro quanto io e le religioni andiamo d’accordo. Ho speso fiumi di parole a riguardo (spesso in maniera molto poco lusinghiera) e normalmente non mi interesserebbe minimamente di offendere chi crede in Dio/Buddha/Allah/santoni ciechi che si dilettano col sarin/Flying Spaghetti Monster.

A questa lista oggi si andranno ad aggiungere i rastafariani, con cui ho delle passioni in comune OVVIAMENTE parlo di dreadlock e musica reggae, lo dico nel caso questo post venga letto da qualche appartenente alle forze dell’ordine- ma a cui non perdonerò mai il fatto di aver contribuito alla morte di un grande musicista come Bob Marley, avvenuta per un tumore a un dito del piede FACILMENTE CURABILE CON L’AMPUTAZIONE dello stesso ma che contrastava con il precetto religioso di arrivare alla morte con il corpo integro.

Voi mi avete tolto Bob, io parlo del vostro Dio-re. Mi pare equo.
E comunque “I shot the sheriff, but I did not shoot the deputy”.


Hailè nasce con il nome di Tafàri Maconnèn il 23 luglio 1892 nella cittadina etiope di Egersa Goro e a voler dar retta al suo albero genealogico è il DUECENTOVENTICINQUESIMO discendente diretto DELLA PIÙ ANTICA FAMIGLIA REALE DELL’INTERO PIANETA che ha origine nel 1011 AVANTI CRISTO dall’imperatore Menelik I, figlio nientemeno che del re d’Israele Salomone e della misteriosa Regina di Saba Makeda.

Una coppia salda, nonostante le facce schifate.


Per intenderci qui in Italia in quegli anni gli etruschi non sapevano ancora di essere etruschi ed erano appena entrati nella fase protovillanoviana, iniziando a dar fuoco ai loro morti prima di seppellirne le ceneri.

Il nostro protagonista è figlio del ‘ras’ (titolo onorifico etiope corrispondente a ‘capo’) Maconnèn Uoldemicaèl e cugino del ‘negus’ (‘re’) Menelik II. Viene così cresciuto tra la corte paterna e quella imperiale, ricevendo un’educazione mista che lo fa diventare presto un avido lettore poliglotta, cosa che gli è di soverchio aiuto quando viene insignito del titolo di governatore di Harar (una città che oggi ospita 75.000 abitanti) ad appena TREDICI ANNI -io alla sua età invece spaccavo il salvadanaio per potermi permettere un Tamagotchi-.

Papà Uoldemicaèl.

Menelik II.


Quando nel 1910 il re abbandona la scena politica a causa una brutta malattia polmonare che lo porterà in seguito alla morte, l’intera corte etiope si aspetta che il titolo passi al preparato Tafàri ma a sorpresa viene nominato alla reggenza del paese il ‘ligg’ (‘figlio’) Jasù V.

Nel 1916 viene ordito un colpo di stato dall’imperatrice Zauditù che fomenta i cristianissimi nobili facendo girare la voce (falsa) che Jasù si sia convertito all’Islam e abbia in mente la stessa sorte per tutto il paese. La rivolta porta a un veloce cambio di vertice e fa planare il nostro protagonista dritto sul trono fra l’entusiasmo di Francia, Italia e Regno Unito che mal digerivano il rapporto che si stava instaurando fra il precedente reggente e l’Austria.

Nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale ogni alleato di un nemico diventa instantaneamente il nemico.

E l’imperatrice lo sa bene.


Mentre nelle campagne i lealisti di Jasù si lanciano in una guerriglia che ha ben poche speranze di vittoria (benchè trascinata sino al 1924) Tafàri ha una visione molto più ampia del mondo e decide di puntare tutto su una modernizzazione del paese intesa a far coesistere le tradizioni secolari (principalmente per evitare di agitare la vecchia classe nobile) con alcune innovazioni amministrative e liberali.

Questo porta nel 1923 l’Etiopia a ottenere l’ingresso nella Società delle Nazioni, divenendone il primo paese membro del continente africano .

Il 2 novembre 1930 il nostro protagonista guadagna il titolo di imperatore e cambia il suo nome nel modestissimo ‘Hailè Selaissè’ (che significa ‘POTENZA DELLA TRINITÀ’) con cui viene principalmente ricordato dalle pagine della storia. Si ritrova così solo, al comando di un paese che sta tentando di prendere una via nuova e che pur dovendo fare i conti con un’endemica carenza di risorse, ricchezze e tecnologie sta provando a uscire dai vecchi feudalesimi che lo governano, formando una classe dirigente che per la prima volta nella sua storia millenaria tiene conto più del merito dell’individuo che della linea di sangue della famiglia di provenienza.

In politica estera Hailè ottiene importanti risultati (la Gran Bretagna ridimensiona le mire espansionistiche sulla regione del lago di Tana e si comincia a dialogare con la Francia per poter ottenere un indispensabile sbocco sul mare) e alcuni attriti che col tempi diventano sempre maggiori quando l’talia fascista si ritrova ad affannarsi (in netto ritardo rispetto ad altre nazioni) per dimostrare al mondo di essere in grado di fondare un proprio impero coloniale, più o meno sulla falsariga di quello che succede quando vedete qualcuno fuori da un bar fare una rissa per affermare la propria virilità.

“Sostengo con forza il fatto di avere il pene più grosso!”


A Roma non si fa davvero mistero che l’Etiopia sia un bersaglio perfetto per quest’espansione pazzerella e i continui tentativi di intromissione (dal sostenere le varie congiure messe in piedi da alcuni nobili scontenti fino al tentativo di liberare Jasù dal carcere in cui era imprigionato per rimetterlo a capo della guerriglia) hanno come unico risultato quello di mettere in allerta le spie etiopi che corrono a riportare all’imperatore la notizia della presenza di un imponente e prossimo piano d’invasione.

Hailè fa quello che tutti i governanti farebbero nella sua situazione: alza le tasse (provocando anche delle rivolte, subito sedate) e si lancia in una frettolosa corsa al riarmo arruolando consiglieri militari dall’estero (russi, belgi e svizzeri) affidandogli il compito di organizzare un esercito che possa tener testa alle armate fasciste.

Il nostro protagonista non è stupido.

È perfettamente consapevole di avere gravi carenze sotto tutti i fronti e troppo poco tempo per colmarle, quindi si adopera meglio che può anche con i canali diplomatici, mostrando una fiducia (forse troppo eccessiva) nei riguardi della Società delle Nazioni.

Poi arriva il 5 dicembre 1934.

Ual Ual è un complesso di 359 pozzi acquiferi fondamentali per chiunque si ritrovi di passaggio nei deserti dell’Ogaden, siano essi nomadi provenienti dalla Somalia italiana (istituita nel 1889), forze inglesi della Somalia britannica o etiopi, sulla carta I VERI POSSESSORI di una regione che ha la sfortuna di possedere dei confini definiti da nient’altro che sabbia. Gli accordi stipulati nel 1908 con l’Italia fanno CHIARAMENTE menzione al fatto che le forze della colonia del bel paese non si possono inoltrare per più di 180 miglia dalla costa.

Ual Ual ne dista trecento.

Immaginate la gioia degli etiopi quando si accorgono che dal 1925 le forze italiane (formate in gran parte da bande di irregolari mercenari ‘dubat’ assoldati dal governatore Cesare Maria de Vecchi) presidiano con sempre maggiore arroganza le linee di rifornimento d’acqua senza le quali l’attraversamento del deserto passa da ‘complesso’ a ‘mannaggia al Cristo però!’

De Vecchi e i suoi bei baffi.

Gli italianissimi dubat.


Nel ’34 la situazione tenuta sotto controllo a stento dalle truppe inglesi che svolgono il ruolo di pacieri ha un escalation quando il fortino di Ual Ual (settanta metri di terra battuta circondati da una trincea e da una palizzata di tronchi) viene circondato da circa 600 uomini etiopi che sotto il vigile e neutrale occhio brittanico del colonnello Clifford hanno il compito di “rimuovere l’impedimento a mano armata alla libera circolazione in Etiopia nella regione di Ual Ual”.

Il ‘fortino’.


-tifate pure per chi volete a questo punto ma ricordatevi che l’Italia ha oggettivamente CENTOVENTI MIGLIA DI TORTO MARCIO

Quando comunicano la notizia a Mussolini lui va in brodo di ricino, è il casus belli perfetto e non aspettava altro. Dal canto suo Hailè scatena questo bailamme costretto da un misto di pressioni interne e troppa fiducia nel peso diplomatico dell’alleato inglese.

I due dubat a capo del fortino, Alì Uelie e Salad Mahmud Hassan ricevono ordini tassativi via radio di non arrendersi per nessun motivo, nel frattempo il capitano del vicino presidio di Uarder, Roberto Cimmaruta (soprannominato dagli indigeni ‘Arda at’ che sta per ‘Occhi Chiari’) viene allertato di preparare l’intera sua colonna di fanteria per uno scontro.

Mentre al campo le trattative procedono male e a rilento si decide per un’italica azione di diplomazia BUFFA, quando una squadriglia di biplani da ricognizione sorvola radente il campo etiope sparacchiando qualche colpo.
Il momento è così concitato, gli aerei così rumorosi e i mitraglieri così scarsi che L’UNICA testimonianza a riguardo è quella del mitragliere stesso, Gerardo Zaccardo, PERCHÈ NESSUNO SI ACCORGE CHE HA SPARATO!

Da qui in poi un delirio: degli aerei che fanno brutto convincono Selaissè a RADDOPPIARE le proprie forze per fare più brutto (arrivando a 1200 uomini), quindi di rimando per fare ANCORA PIÙ BRUTTO i quattrocento dubat nel forte e la colonna di Cimmaruta vengono affiancati da due autoblindi coperti dall’alto dai continui sorvoli dei biplani IMAM Ro 1.

Top di gamma per il periodo.


La guerra. La guerra non cambia mai.
È solo un modo per fare sfoggio della propria invidia del pene tramite giocattoli sempre più grossi.

DOPO DIECI GIORNI DI MASCHILE E VIRILE STALLO qualcuno ammazza qualcun altro (le fonti sono abbastanza di parte e inattendibili riguardo a chi abbia sparato per primo, ma è poco importante) e una tempesta di proiettili e sangue spazza le sabbie del deserto, prima che la supremazia tecnologica italiana (in particolare gli autoblindi) non trasformino lo scontro in una ritirata e la ritirata in un macello.

Restano sul campo VENTUNO dubat da una parte e TRECENTO uomini dall’altra.
La propaganda fascista cavalca il momento inneggiando alla guerra mentre Selaissè si ritira per riorganizzarsi, confidando di ricevere l’appoggio degli inglesi e dell’intera Società delle Nazioni che (gli va riconosciuto) decide compatta (50 stati su 54) importanti sanzioni economiche nei nostri confronti, considerando che (lo ricordo per i più distratti) GLI ITALIANI HANNO SCONFINATO DI 120 MIGLIA CONTRAVVENENDO A UNA MAREA DI TRATTATI.

Qui da noi l’unica cosa che arriva è che siamo un sacco fighi e il popolo lobotomizzato plaude il solito Benito Impettito quando il 2 ottobre 1935 dichiara l’inizio della guerra etiope (di seguito trattata solo per sommi capi).

Dopo una spinta iniziale fortissima (dovuta principalmente alla tecnologia superiore messa in campo, al fatto che l’esercito era più preparato e SE NE SBATTEVA ALLA GRANDISSIMA DELLE CONVENZIONI SULLE ARMI CHIMICHE O DI EVITARE DANNI COLLATERALI ALLA POPOLAZIONE CIVILE) gli italiani gestiscono con poche perdite (in prevalenza mercenarie) l’offensiva nemica di Natale e arrivano a catturare ras Immirù, il miglior comandante di Selaissè, dopo avergli devastato un’armata di 3000 uomini grazie all’utilizzo della regia aviazione che può muoversi incontrastata nei cieli.

Come esportiamo bene la democrazia.


L’imperatore a questo punto abbandona una guerriglia che sta dando pochi risultati (è difficile ottenerli quando chi affronti se ne frega di sparare sulla popolazione) e fa una cosa che il Duce si è solo sognato di fare nella propria vita, raduna la propria guardia personale e muove IN PRIMA PERSONA quello che rimane del proprio esercito (31.000 uomini) incontro al nemici.

Il contatto avviene nella conca di Mai Ceu.

Qui le forze di Hailè, piagate da un continuo lancio di gas asfissianti dal cielo, si lanciano una coraggiosa offensiva contro le postazioni di alpini e ascari italiani che riescono però a respingerli (nonostante qualche difficoltà dettata dalla foga degli effettivi della Kebur Zabagnà, la Guardia Imperiale) infliggendo loro delle pesantissime perdite, che verranno ulteriormente rincarate quando la Regia Aviazione si getta al loro inseguimento per poter meglio dar sfoggio delle bombe all’iprite, meglio conosciuto come ‘gas mostarda’.

Per l’Etiopia è un colpo durissimo, circa 8.000 caduti in una sola battaglia sono uno di quegli avvenimenti in grado di far perdere un intero conflitto e sebbene il negus continui imperterrito a condurre le sue truppe in battaglia (il 15 febbraio diventa L’UNICO IMPERATORE DELLA STORIA DELL’UMANITÀ AD AVER ABBATTUTO UN AEREOPLANO CON LE SUE MANI) appare evidente come la superiorità degli armamenti valga più del coraggio e del sacricio di migliaia di uomini.

Poco prima dell’ingresso delle truppe italiane nella capitale Addis Abeba (e per il timore che la radessero al suolo per trovarlo) Hailè opta per un esilio volontario dirigendosi a Bath, nel sud dell’Inghilterra.

Il 12 maggio 1936 appare (visibilmente provato) sul palco dell’assemblea della Società delle Nazioni e tiene in qualità del suo ruolo di capo in esilio di una nazione conquistata un discorso che dovrebbe farci vergognare tutti, in quanto italiani.


«È mio dovere informare i governi riuniti a Ginevra, in quanto responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del mortale pericolo che li minaccia descrivendo il destino che ha colpito l’Etiopia.

Il governo italiano non ha fatto la guerra soltanto contro i combattenti: esso ha attaccato soprattutto popolazioni molto lontane dal fronte, al fine di sterminarle e di terrorizzarle. Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia.
Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine di gennaio del 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia.

Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque e i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. Questo fu il principale metodo di guerra.

A parte il Regno di Dio, non c’è sulla terra nazione che sia superiore alle altre.
Se un governo forte acquista consapevolezza che esso può distruggere impunemente un popolo debole, quest’ultimo ha il diritto in quel momento di appellarsi alla Lega delle Nazioni per ottenere il giudizio in piena libertà.

Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio

Il governo di Mussolini, non avendo nulla da controbattere a queste accuse FONDATE E COMPROVATE non potè fare altro che ritirare la propria delegazione paventando uno sdegno e una sicurezza che di lì a dieci anni avrebbe perso del tutto.

Di seguito solo alcuni freddi numeri per ricordare quanto bravi e buoni siamo stati durante la nostra dominazione:

275.000 CIVILI UCCISI in poco più di un anno di guerra.

75.000 PARTIGIANI (perchè quello sono) MASSACRATI negli anni successivi.

17.800 CIVILI vittime dei continui bombardamenti anche in tempo di ‘pace’.

30.000 VITTIME dopo il fallito attentato a quel fantastico governatore che fu Rodolfo Graziani, amichevolmente soprannominato il ‘macellaio del Fezzan’ -arriverò a parlarne anche qui-, molti di questi dovuti a una vera e propria caccia al clero copto.

24.000 PRIGIONIERI FUCILATI.

35.000 DECEDUTI DURANTE LA RECLUSIONE.

– circa 300.000 morti per fame e dissenteria dovute ai ‘danni collaterali’ della dominazione italiana.

Se non avete una calcolatrice sotto mano il conto ve lo faccio io: ESCLUDENDO LE MORTI IN COMBATTIMENTO SIAMO COSTATI ALL’ETIOPIA 756.800 MORTI.

Per farvi capire è più o meno come se domani piovesse un meteorite su Torino dissolvendo quasi tutti gli abitanti.

Il nostro protagonista riesce a tornare in patria solo il 20 gennaio 1941 e unendo le forze del gruppo ‘Arbegnuoc’ ‘patrioti’) riesce a organizzare un moto di resistenza armata che collabora con le forze inglesi per la caduta dell’Africa Orientale Italiana. Particolarmente importante per raccogliere le forze in quest’ottica è il ‘decreto di San Michele’ con cui Hailè concede l’amnistia a chiunque abbia collaborato con l’Italia e (cosa che trovo straordinaria) FA APPELLO ALLA CAVALLERIA DEL SUO POPOLO PERCHÈ TRATTI CON GENTILEZZA E RISPETTO I PRIGIONIERI ITALIANI.

Un gruppo di Arbegnuoc.


“Io vi raccomando di accogliere in maniera conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno, con o senza armi. Non rinfacciate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo.
Mostrate loro che siete dei soldati che possiedono il senso dell’onore e un cuore umano. Vi raccomando particolarmente di rispettare la vita dei bambini, delle donne e del vecchi. Non saccheggiate i beni altrui anche se appartengono al nemico. Non incendiate le case.”

Gli etiopi combatterono a fianco delle forze inglesi varcando i confini dal Sudan e questa volta gli italiani si ritrovarono nella cacchina e in una situazione sostanzialmente opposta da quella vissuta durante l’invasione, con una fuga scomposta dietro l’altra.

Quando il 5 maggio 1941 l’imperatore ritorna trionfalmente nella capitale riappropriandosi del suo trono dopo cinque anni dal suo esilio emette un altro editto che fa intuire la profonda differenza da ominicchi come Graziani:

“Poiché oggi è un giorno di felicità per tutti noi, dal momento che abbiamo battuto il nemico, rallegriamoci dello spirito di Cristo. Non ripagate dunque il male col male. Prenderemo le armi al nemico e lo lasceremo andare a casa per la stessa via dalla quale è venuto.”

Nel dopoguerra Hailè torna a dedicarsi al progetto di ammodernamento del paese che aveva dovuto abbandonare forzatamente quindici anni prima, ma questa volta il suo tentativo di accomodare le varie anime della nazione si mischia con una ferrea volontà di accentrare nelle sue mani quanto più potere possibile e mano a mano che il conflitto si allontana inizia a farsi sempre più forte l’eco delle proteste interne.

In politica internazionale invece le cose vanno alla grande. Dopo essere riuscita a schivare il concreto rischio di diventare un protettorato britannico, l’Etiopia ottiene l’annessione dell’Eritrea (e conseguentemente di un FONDAMENTALE sbocco sul mare) raggiungendo nel 1952 la sua massima estensione territoriale e l’ingresso nelle Nazioni Unite in qualità di membro fondatore.

Quando nel 1953, in piena Guerra Fredda, ogni nazione del mondo deve dichiarare di quale superpotenza fosse la BFF (Best Friend Forevar) Selaissè ha pochi dubbi e si lancia fra le braccia degli USA, fornendogli una fondamentale base aereo-navale nel Mar Rosso e ricevendo in cambio un’aviazione e diverse unità navali praticamente a costo zero. Nonostante questo le doti diplomatiche dell’imperatore permettono all’Etiopia di non diventare uno dei tanti stati-fantoccio del pianeta e sebbene restino in vigore gli accordi militari con l’America si riescono a intrattenere importanti relazioni commerciali con l’URSS.

Voi chiamatelo doppiogiochismo se volete, in fondo è solo politica.

Verso gli ultimi anni della sua vita il nostro protagonista diventa (a ragione) molto sospettoso della sua stessa corte, sventa un’impressionante serie di tradimenti ma può poco quando nel 1974 un colpo di stato della giunta militare comunista, il cosidetto ‘Derg’ capeggiato a Menghitsu Hallé Mariàm, gli si rivolta contro, imprigionandolo nel palazzo imperiale.

Un uomo solo al comando è potente, ma anche facile da eliminare.


Viene assassinato CON UN CUSCINO il 27 agosto 1975 e per ordine di Mariàm e il suo corpo seppellito tre metri sotto il pavimento di un bagno del palazzo “per poter evitare che il suo fantasma esca dalla tomba per perseguitarci”.

Dopo il crollo del regime comunista le sue spoglie vengono ritrovate e tumulate nel 2000 all’interno della cattedrale della Santissima Trinità di Addis Abeba, ponendo definitivamente fine alla storia dell’ultimo imperatore etiope.

Postilla sull’introduzione a tema religioso di questo post: nel 1930 in Giamaica prende piede fra la popolazione nera un movimento politico religioso, il Rastafarianesimo. Esso segue le linee guida del cristianesimo ortodosso etiope e si incentra sulla venerazione della figura di Hailè come SECONDA REINCARNAZIONE DI GESÙ CRISTO RITORNATO SULLA TERRA PER LIBERARE IL MONDO (E LA POPOLAZIONE ELETTA DI COLORE) DAL TERRORE NAZIFASCISTA.

Va detto che questa seconda reincarnazione è morta soffocata da un cuscino, almeno la crocifissione era più d’effetto.

Ma vuoi mettere?
]]>
https://www.inutile-erudizione.it/haile-selassie/feed/ 0
Carlo Fecia di Cossato https://www.inutile-erudizione.it/carlo-fecia-di-cossato/ https://www.inutile-erudizione.it/carlo-fecia-di-cossato/#respond Mon, 12 Mar 2018 23:13:42 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=1393 A volte le Personalità Buffe bisogna cercarle lontano, vuoi temporalmente e/o geograficamente. In altri casi sono molto più vicine di quel che crediamo, solo ne ignoriamo l’esistenza.
Per la storia di oggi non si devono fare migliaia di chilometri ma è una di quelle in cui bisogna tenere conto che: ‘essere un eroe è una cosa prettamente relativa’.
Specie se durante la seconda guerra mondiale non hai combattuto per gli Alleati.
Specie se gran parte della popolazione del tuo paese passa dall’osannarti al ripudiarti.
Specie se le tue medaglie arrivano dalle mani di Mussolini ed Hitler.

Tolto che si sta parlando pur sempre di uomini bravi ad uccidere altri uomini e tralasciando le motivazioni politiche che li hanno portati a farlo NON HO intenzione di parlare di giusto o sbagliato in questo frangente- si deve comunque dare atto che soldati capaci ce ne sono stati in tutti gli schieramenti coinvolti.
Quello che mi da personalmente fastidio è che gli sconfitti non vengano ricordati quasi da nessuno, di sicuro senza l’onore che alcuni di loro, anche solo in quanto grandi combattenti, meriterebbero.
Difficilmente leggerete storie di questo tenore su soldati del Terzo Reich, praticamente impossibile trovarne dal fronte del Duce senza scadere nella triste propaganda -andando contro la tanto vituperata legge Scelba sull’apologia di fascismo fra l’altro-.
Per la storia (soprattutto quella italiana) è tutto filato nel dimenticatoio sotto un velo di vergogna.
Forse un po’ troppo velocemente.
Forse senza avere il tempo di analizzare, o comunque senza dare elementi per ricordare (e senza ricordare è un sacco facile reiterare).
Forse facendo di tutta l’erba un fascio -ahah-.

Chiariamoci prima di iniziare però:
NON SI STAVA MEGLIO QVANDO C’ERA LVI!

 

Lvi


Carlo Fecia nasce nel 1908 a Roma dalla famiglia dei Cossato, nobili piemontesi e in quanto tali ferventi sostenitori della monarchia sabauda -più o meno come un vampiro sostiene l’AVIS-.
I parenti hanno già bene in mente cosa diventerà Carlo da grande e per i successivi vent’anni viene addestrato nei più prestigiosi collegi ed accademie militari.


Nel 1928 viene imbarcato come guardiamarina sul nuovissimo sommergibile di classe Vettor Pisani ‘Giovanni Bausan’. Qui ha modo di far gavetta sul campo e di innamorarsi di una vita fatta di spazi ristretti, siluri, immersioni ed inquietanti rumori sul sottile strato di metallo che ti separa dall’annegamento.

Nel 1929 viene promosso al rango di sottotenente di vascello e preso a bordo dell’esploratore ‘Libia’ di stanza in Cina; una nave originariamente realizzata per la Marina Turca e requisita nel 1912 dalla Regia Marina Sabauda allo scoppio della guerra libica -su cui ci sarebbe un mondo di cose da dire ma per non divagare troppo mi soffermo solo su Giulio Gavotti che effettua il primo bombardamento aereo della storia tirando granate a mano dal suo aeroplano-.
Per i successivi tre anni il ‘Libia’ insieme alle cannoniere ‘Caboto’ e ‘Carlotto’ furono tutta la Marina Italiana presente in acque cinesi a garantire una minima rappresentanza a sostegno di Tientsin (odierna Tianjin) che forse non tutti sanno essere stata una colonia italiana ottenuta dopo la rivolta dei Boxer, nel 1901.
La colonia era una striscia di terra lunga un chilometro e larga cinquecento metri con all’interno un villaggio scalchignato, una salina ed un cimitero paludoso sulla sponda del fiume Hai-Ho.
Per quarantadue anni fu suolo italico.
Quando Carlo arriva nel ’29 fa appena in tempo ad ambientarsi che il ‘Libia’ affonda un mercantile cinese sullo Yang Tze per via di una manovra errata. Per pura fortuna non ci sono morti ed il già provato governo della Zhōngguó dell’epoca decide di lasciar correre -oggi sospetto saremmo in una cacchina ben diversa-.
Nel 1932 la nave fa la sua ultima traversata verso Giappone, poi rientra in Italia assieme a tutto l’equipaggio per il disarmo.

Nel 1933 Fecia è ormai lanciato nella scalata ai ranghi; ottiene la qualifica di tenente di vascello e sale a bordo del ‘Bari’, un incrociatore leggero dalla storia militare lunga e variegata essendo appartenuto a russi e tedeschi per poi passare nelle mani dell’Italia come preda di guerra alla fine del primo conflitto mondiale.

-INIZIO DIVAGAZIONE-
Nel ’35 al nostro Benito impettito gli rode un sacco (ma un sacco) il fatto di non possedere delle colonie degne di questo nome.
Tutte le nazioni intorno lo scherzano facendo commenti sulla lunghezza del suo impero.
Lui da buon Duce non è tipo da mandar giù e si fa portare una mappa: “Possibile, perdio, che non ci sia rimasta ancora un po’ di terra libera in quel della grande Africa? Qualche negus a cui portar la civiltà a suon di manganelli nelle reni?”
Terra ‘libera’ (intesa come non già rivendicata da qualche altra nazione europea, perchè tanto delle popolazioni indigene se ne sono sempre fregati tutti) molto poca e non un granché rigogliosa, c’è da scegliere fra Etiopia e Liberia.
Si tira una moneta.
Esce Etiopia.
Si va tutti lì cantando faccetta nera:

Faccetta nera ringrazia eh, ma anche no.
Inizia la guerra d’Abissinia.
Una tra le guerre più codarde che abbiamo combattuto come nazione, portando all’altro mondo 275.000 uomini scarsamente equipaggiati ed addestrati principalmente tramite l’utilizzo di fosgene, cloropicrina, iprite, arsina e lewisite.
Tutte armi chimiche che non portano ad un bel trapasso e che quei simpaticissimi di Pietro Badoglio -che appare sempre non così simpatico a questo punto della storia- e Rodolfo Graziani -uno a cui i negus stavano così tanto sul gozzo da guadagnarsi il soprannome di ‘macellaio del Fezzan‘- non lesinano di usare per arrivare più rapidamente la vittoria.
Strano come le masse di fascisti che si riempiono così tanto la bocca di onore e gloria poi fanno ricorso a dei metodi che di onore e gloria non hanno nulla.
Oppure non é strano per niente.
A seconda di come la si guarda.
-FINE DIVAGAZIONE-

Per tutta la durata della campagna etiope il ‘Bari’ rimane in difesa del porto di Massaua.
Non che ci sia chissà quale pericolo dato che il nemico sta venendo gasato da tonnellate di proiettili di mortaio e che l’idea di un incrociatore che viene attaccato dalle piccole imbarcazioni in legno dei pescatori etiopi (chiamate sambuchi) fa quantomeno sorridere.
Ma noi siamo quel popolo lì.
Ci piace vincere facile -ponci ponci pò pò pò-.

Cossato però si stanca presto di stare alla fonda rigirandosi i pollici e quando nel ’37 si cercano volontari per delle missioni speciali nell’ambito della guerra civile spagnola, lui è tra i primi a proporsi.
Nel ’39 riesce a coronare il suo sogno, sale al rango di capitano di corvetta ed ottiene il titolo di comandante di sommergibile.
Finalmente un sottomarino tutto suo, con black jack e squillo di lusso.
Più realisticamente con marinai sudati e siluri esplosivi.
-Un bel titolo per un film porno-
Non farà in tempo a pensare a nulla di ciò.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale.
-Anche questo un bel titolo per un porno-

Il nostro eroe viene colto dalla famosa dichiarazione di guerra del Duce mentre è stanziato al porto di Trapani al comando del silurante ‘Ciro Menotti’; riconoscendosi nei tanto sbandierati “combattenti di terra, DI MARE e dell’aria” e obbedendo alle disposizioni dall’alto, parte per un pattugliamento offensivo nel tratto compreso fra Creta e Libia ma non incrocia nessuno nonostante la presenza numericamente importante di marina inglese nell’area.

Per riorganizzare più sensatamente le risorse dell’Asse il ‘Menotti’ viene inviato alla base navale Betasom costruita a Bordeaux.
Si era concordato che la strategia generale venisse decisa insieme alla Kriegsmarine lasciando però la responsabilità diretta delle singole imbarcazioni ai rispettivi comandi, questo perché Hitler ha una paura matta che l’unificazione possa portare in Africa Settentrionale la sua tanto amata aviazione sotto i diretti ordini italiani.
Meine Flugzeugen, meine Wahl!” (=aerei miei, decisioni mie!).
Carlo viene trasferito al comando del sommergibile oceanico di classe Calvi ‘Enrico Tazzoli’ ed è qui che le cose iniziano a farsi succose.


Appena messo piede in plancia squadra tutti i marinai e fa un discorso conciso: “Se qualcuno vuole sbarcare lo dica subito. Io intendo partire con gente pronta a tutto.
L’equipaggio è composto di soli volontari, il morale è alle stelle, le possibilità di morire malissimo pure.

Il 7 aprile 1941 mentre si trova al largo delle coste dell’Africa Occidentale, il ‘Tazzoli’ individua due incrociatori inglesi che viaggiano appaiati.
Il comandante dà l’ordine di cannoneggiarne uno e di immergersi in tutta fretta per evitare il contrattacco.
Quando quindici minuti dopo ritorna in superficie viene ritrovata solo un enorme macchia di nafta ed una singola sagoma in lontananza che fugge in tutta fretta.

Il 15 aprile il piroscafo da carico inglese ‘Aurillac’ ha la sfortuna di incrociare la rotta di Cossato.
Un primo siluro danneggia gravemente la nave, che resta in balia degli italiani che emergono per finirla in tutta calma con altre due torpedini.

Il 7 maggio seguendo una procedura ormai rodata affondano il piroscafo norvegese ‘Fernlane’, per poi mettersi all’inseguimento della petroliera ‘Alfred Olsen’ con cui viaggiava in formazione.
La ‘Olsen’ è un osso duro, ci vogliono due giorni di tira e molla, cinque siluri ed un centinaio di colpi d’artiglieria per farla colare a picco. Dopodiché a corto di munizioni si decide per il rientro alla Betasom.
Arrivati all’estuario della Gironda in navigazione di superficie devono sembrare un bersaglio facile al pilota di un aereoplano di passaggio, perchè decide di sganciargli addosso le sei bombe che si porta dietro. L’aviatore riconsidera la sua scelta quando le due mitragliatrici pesanti del ponte rispondono al fuoco e lui si ritrova improvvisamente a bordo di una carlinga infuocata.

Rientrato alla base per i rifornimenti, Cossato venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare e scambia informazioni con un altro asso dei sommergibilisti italiani, Gianfranco Gazzana Priaroggia, al comando della ‘Archimede’ prima e del ‘Leonardo da Vinci’ poi.
I due da buoni italiani caciaroni si mettono subito a fare a gara a chi affonda più nemici, il problema per gli Alleati è che sono entrambi parecchio bravi a farlo (per inciso vince il ‘Tazzoli’ per numero e il ‘Leonardo da Vinci’ per tonnellaggio).

Il 12 agosto il piroscafo inglese ‘Sangara’ ha appena tirato un enorme sospiro di sollievo per essere riuscito a sfuggire all’attacco di un U-boot che ha gravemente danneggiato la sua sala macchine.
Il peggio sembra passato e l’equipaggio si sente abbastanza sicuro da far rotta verso un porto amico, quando una singola scia a pelo d’acqua fa capire a tutti di essersi tranquillizzati troppo presto.
Carlo ha trovato sulla sua strada il ‘Sangara’ mentre era all’inseguimento della petroliera norvegese ‘Silgra’ che affonda una settimana dopo.
Di nuovo a secco di munizioni fa ritorno alla Betasom dove viene decorato con la medaglia di bronzo al valor militare e con la croce di ferro di seconda classe da parte dei nazisti che lo stanno prendendo parecchio in simpatia.

Nel dicembre del ’41 la Betasom vede partire un convoglio di tutti i sommergibili dell’Asse disponibili per una missione di salvataggio dei naufraghi della nave di rifornimento ‘Phyton’ che a sua volta era partita per il recupero dei superstiti di un altra famosissima nave corsara tedesca, la ‘Atlantis’.
Bisogna soccorrere i soccorritori ormai dispersi al largo delle Isole di Capo Verde il più rapidamente possibile.
Una volta individuati i naufraghi il ‘Tazzoli’ prende a bordo una settantina degli ex-membri della ‘Atlantis’ (tra cui il vicecomandante Ulrich Mohr, che riporta in seguito ai suoi superiori la grandissima disciplina che contraddistingue l’equipaggio italiano) e a pieno carico rivolge la prora verso Bordeaux.
La notte di Natale, mentre si trovano in navigazione di superficie forzata, vengono individuati da un aereo nemico e ne scaturisce un inseguimento adrenalinico con almeno altre tre navi Alleate chiamate di rinforzo. Il tutto si risolve solo dopo diverse manovre azzardatissime da parte del comandante italiano che riesce a liberarsi degli inseguitori quel tanto che basta per raggiungere la base tedesca a Saint-Nazaire e far sbarcare Mohr ed i suoi uomini.
Al ritorno alla Betasom Cossato venne accolto dall’ammiraglio Dönitz in persona che lo insignisce dell’importantissima Croce di ferro di prima classe.
Che se eri dalla parte del Fürher significava essere un eroe.


L’11 febbraio 1942 Fecia viene inviato in una missione atta a colpire il nuovo protagonista di questa guerra a tutto tondo, gli Stati Uniti.
Durante la traversata inanella una serie impressionante di affondamenti:

Astrea, piroscafo olandese.
Torsbergfjord, motonave norvegese.
Montevideo, piroscafo uruguaiano.
Daytoian, piroscafo inglese.
Athelqueen, petroliera inglese.
Cygney, piroscafo panamense.

Con quest’ultimo il nostro si comporta particolarmente da bulletto. Permette ai naufraghi di salire sulle scialuppe ed una volta appreso che la stampa americana era solita ironizzare sul coraggio e le capacità dei soldati italiani sale in torretta sventolando il tricolore ed urlando: “E adesso andate a raccontare agli americani che non è vero che gli italiani vengono fin qui ad affondar le navi!”.

Manca solo Seven Nation Army in sottofondo e l’equipaggio che canta ‘po popopo po po poo’.

Per non far diventare ridondante questo testo riassumo tutto l’anno successivo:
Il ‘Tazzoli’ affonda altre sei navi ed il suo comandante riceve una sfilza di medaglie via via più importanti che lo rendono una leggenda sia per il comando tedesco che per quello italiano.

Nel febbraio del 1943 Cossato viene promosso al rango di capitano di fregata e messo a capo della torpediniera (una nave cacciasommergibili per capirci) ‘Aliseo’.
Il ‘Tazzoli’ era ormai diventato obsoleto e per accordi con la Kriegsmarine viene disarmato ed adibito al trasporto di materiali strategici fra Europa e Giappone, in cambio la Regia Marina ottiene dei nuovissimi U-boot.
Apparentemente vincevano tutti.

Alla prima missione senza il suo comandante pluridecorato però il leggendario sottomarino viene subito individuato ed affondato con una mina di profondità sganciata dalla Royal Air Force.
Tutti i 70 uomini che per due anni erano divenuti la seconda famiglia del nostro eroe trovano la morte nelle acque al largo di Singapore.
Il fatto scuote profondamente Cossato ma non c’è tempo per i piagnistei, il dovere chiama! C’è ancora una guerra da vincere!

Solo che no, dall’8 settembre 1943 non c’è più una guerra da vincere, c’è solo una gran confusione.
Badoglio -ehi ve lo ricordate in Etiopia a spargere armi chimiche, sì?- sta diffondendo alla radio il proclama che sigla l’armistizio con cui il Regno d’Italia cessa le ostilità nei confronti degli Alleati.
Peccato solo per il piccolo particolare che mezzo paese è ancora pieno di truppe tedesche incazzate come api per ciò che recepiscono come tradimento -a cui onestamente non mi sento di dar torto, ma notoriamente se lo sarebbero dovuti aspettare data la nostra esperienza con i voltafaccia nelle alleanze durante le guerre-.
La ‘Aliseo’ è ancorata al porto di Bastia (in Corsica) insieme alla nave gemella ‘Ardito’ mentre viene annunciato che il Re se ne lava le mani dopo essersi rifugiato tra le braccia degli americani a Brindisi.

“Italienische Scheiße!”

La Wehrmacht in Corsica non la prende benissimo.
Dopo aver preso il controllo delle batterie d’artiglieria costiera iniziano a far fuoco sulle navi italiane.
La ‘Aliseo’ riesce miracolosamente ad uscire dal blocco navale, i problemi furono tutti per la ‘Ardito’.

Mettetevi nei panni di Carlo Fecia di Cossato:
Un uomo addestrato da tutta la vita a diventare un eroe.
Un uomo che da 15 anni di lavoro affonda navi.
Un uomo che ha appuntato al petto un esorbitante quantità di medaglie.
Un uomo fortemente legato al re e alla patria, ma prima di tutto ai suoi compagni d’arme.
Un uomo ancora distrutto dal dolore per aver perso in un colpo solo i settanta uomini migliori che abbia mai conosciuto…

“Indietro tutta, cazzo! Non lascerò gli uomini della Ardito a morirmi davanti! Scarichiamogli addosso tutto quello che abbiamo che qui o ci salviamo tutti o crepiamo insieme!”

A questo punto della storia potete esservi fatti da soli un idea del personaggio, di una cosa però dovete dargliene atto: aveva le palle.
Carlo carica a testa bassa una flotta composta da UNDICI imbarcazioni:
– 2x cacciasommergibili
– 6x motozattere
– 1× motonave della Luftwaffe
– 2x piroscafi armati

Mentre la ‘Ardito’ è bloccata per un colpo ricevuto alla sala macchine, la ‘Aliseo’ tiene occupato il fuoco di tutte le altre navi, affondando da sola una delle cacciasommergibili e dando il tempo ai compagni di riparare il danno sottocoperta.
Quando le due torpediniere iniziano a muoversi in coppia, supportate anche da un paio di batterie costiere riconquistate da un gruppo di artiglieri italiani che non vedono proprio di buon occhio che gli ammazzino davanti uno dei più grandi eroi della Marina Italiana, devastano completamente qualsiasi amante dei crauti poggiasse il culo su di un’imbarcazione.
Per questa azione Cossato viene insignito della Medaglia d’oro al valor militare.
L’unico caso registrato in cui si è conferita la massima decorazione militare per aver compiuto azioni contro obiettivi di due parti belligeranti contrapposte nel medesimo conflitto.

Per le settimane successive la ‘Aliseo’  fa la spola tra Malta ed i porti del sud Italia sotto diretto controllo Alleato, fornendo i suoi servizi come scorta e trasporto, ma i suoi occupanti notano anche (con sommo sconcerto di Fecia) quanto in molti casi le navi italiane vengano utilizzate come campi di concentramento galleggianti per i rispettivi equipaggi.
Quando in primavera si diffonde la notizia che, nonostante la cessazione delle ostilità, le navi italiane stanno per essere cedute alle potenze vincitrici, il nostro eroe sbrocca definitivamente ordinando alla propria squadra: «Se venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i vostri siluri e sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi stanno attorno, per rammentare agli angloamericani che gli impegni vanno rispettati; se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi.»

Quando nel 1944 si insedia il nuovo governo presieduto da Ivanoe Bonomi, si decide volutamente di non giurare fedeltà al Re.
Si adeguano velocissimamente a questa scelta un po’ tutte le cariche della Marina.
Cossato no.
Era arrivato al punto di non ritorno.

«No, signor ammiraglio, il nostro dovere è un altro. Io non riconosco come legittimo un governo che non ha prestato giuramento al Re. Pertanto non eseguirò gli ordini che mi vengono da questo governo. L’ordine è di uscire in mare domattina al comando della torpediniera “Aliseo”.
Ebbene la “Aliseo” non uscirà.»

Insubordinazione.
Il 22 giugno viene fatto sbarcare dalla torpediniera e posto agli arresti.
Il problema é che sostanzialmente in TUTTI gli equipaggi di ciò che restava della flotta italiana a cui arriva la notizia ci sono dei tumulti, anche gravi, di chi chiede l’immediato reintegro del nostro protagonista.
Per evitare un’insurrezione generale (che a questo punto è l’ultima cosa che la Marina desideri) Carlo venne liberato ma posto in licenza forzata per tre mesi.

Non potendo raggiungere la famiglia al nord, si ritrova ospite di un amico in quel di Napoli.
Qui vede cadere pezzo pezzo tutti i valori in cui per tutta la vita ha creduto e a cui ha dedicato tutto sè stesso.
La Monarchia.
La Patria.
La Marina.
Nulla più conta.

Tenta di avere un colloquio con il luogotenente di Umberto II di Savoia per poter discutere con lui i motivi della sua insubordinazione.
Non gliela concederanno mai.


Il 27 agosto viene ritrovato con la pistola fumante in mano, un buco in testa ed una lettera indirizzata alla madre:

«Da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace. Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.
Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo nella mia vita.

Da mesi e mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare.
Penso che il mio posto è con loro.»

]]>
https://www.inutile-erudizione.it/carlo-fecia-di-cossato/feed/ 0