Ypres – Sfoggiare Inutile Erudizione https://www.inutile-erudizione.it Una valida alternativa a YouPorn Sat, 28 Mar 2020 21:20:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 Francis Pegahmagabow https://www.inutile-erudizione.it/francis-pegahmagabow/ https://www.inutile-erudizione.it/francis-pegahmagabow/#respond Wed, 09 Oct 2019 16:57:25 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2582 Trovo sempre strano come reagisca (male) la memoria umana di fronte ai fatti storici conclamati.

Un classico esempio è la tendenza a immaginarsi la Prima Guerra Mondiale come combattuta solo tra le grandi potenze europee, dimenticandosi che tra quei QUINDICI MILIONI E MEZZO di morti (sommando soldati e civili) ci sono persone provenienti da quasi ogni nazione del pianeta.

Ci si scorda facilmente della componente MONDIALE della ‘Grande Guerra’, presi come siamo dai confusi flashback delle nostre trincee fangose.

Il Canada, per esempio, partecipa attivamente agli scontri schierando uomini nel teatro bellico sin dal primo giorno a fianco degli Alleati. Il paese raggiunge il suo più grande trionfo il 9 aprile 1917 quando durante la battaglia di Vimy Ridge (nei pressi di Calais) i soldati della foglia d’acero conquistano dalle mani tedesche l’intero crinale fortificato di Givenchy-en-Gohelle, fondendo nell’assalto un’accurata preparazione tattica a un coraggio che non impedisce però a 3598 uomini del Canadian Corps di tornare a casa sdraiati in una bara.


Quello che proprio in pochi sanno è che l’esercito canadese ha avuto dalla sua uno dei più grandi esploratori e cecchini dell’intero conflitto. Quello che quasi nessuno ricorda è che per un lungo periodo della sua vita egli non è stato considerato dai suoi compatrioti nemmeno degno di appartenere alla sua stessa nazione, come spesso accade alle minoranze finché non arriva un qualche suo esponente che si dimostri ‘utile’ (oggi in Italia accade con i campioni dello sport, finché vincenti).

Ma andiamo con ordine.

Chi fra voi è un appassionato di manga ben conoscerà l’infinita opera del mastro procrastinatore Kentaro Miura, quel Berserk che tanto ha fatto la felicità di chiunque ami gli oggetti troppo grandi per essere chiamati spada, gli smembramenti e i cannoni innestati sui moncherini. Ci sono varie scene notevolissime nella vita di Gatsu -il protagonista della serie, se siete tra quelli che non hanno nemmeno una goccia di sangue nerd nelle vene-, ma una delle prime che ti vengono sbattute in faccia è la sua nascita, ai piedi del cadavere della madre impiccata.


Cosa c’entra col nostro protagonista di oggi? C’entra, se considerate che non abbiamo una sua vera e propria data di quando è nato perché viene trovato nella riserva di Shawanaga (nelle vicinanze di Nobel, in Ontario) il 9 marzo 1891, a fianco della madre deceduta nel metterlo al mondo a causa delle complicanze di una malattia respiratoria. A trovarlo a poche ore da un’infelicissima dipartita è Noah Nebimanyquod, un amico del padre (morto tempo prima per la stessa malattia della moglie) che gli aveva promesso di prendersi cura del piccolo, qualora ne avesse avuto bisogno.


Francis cresce così all’interno dei confini della riserva in cui la cultura Anishinaabe (il miscuglio di tradizioni provenienti da varie tribù native che qui hanno trovato rifugio dopo secoli di sterminio, guerre, malattie, carestie, razzismo ed esodi) viene protetta dal ‘trattato di Huron’ che dal 1850 AD OGGI, garantisce loro l’extraterritorialità all’esorbitante somma di QUATTRO DOLLARI ANNUI.
Qui il nostro eroe apprende le tecniche di caccia, pesca e il culto degli antenati (mischiato irrimediabilmente con il Cristianesimo) e quando è abbastanza grande gli viene dato il suo ‘vero nome’, Binaaswi, che in lingua Ojibwe suona più o meno come ‘Vento che Soffia’.

A ventuno anni si dimostra abbastanza intraprendente e intelligente da ricevere una borsa di studio per terminare i suoi studi mentre trascorre le estati a lavorare come Vigile del Fuoco per conto del dipartimento della Marina e della Pesca dei Grandi Laghi.

Molto più di quello che facevo io alla sua età, nell’ormai lontano 2008, perso fra le innumerevoli combo di Soul Calibur IV.

Agosto 1914: il Canada si è accorto dopo un mese dallo scoppio del conflitto mondiale che escludere dal suo corpo di spedizione (interamente volontario) le minoranze è un’idea abbastanza barbina, specie considerando che ogni essere umano in grado di restare eretto e reggere un fucile è un potenziale bersaglio in più per il nemico. Francis è uno dei primi ad arruolarsi, insieme a molti altri, spinto da una variegata mescolanza di sentimenti quali la voglia di avventura, quella di vedere il mondo, quella di dimostrare a tutti quanto vale e quella di ricoprirsi di gloria.

Avrà modo di pentirsene, anche qui come molti altri.

Viene inserito nel 23esimo reggimento canadese, i Northern Pioneers, che per non smentirsi hanno come simbolo una fottutissima alce e un motto cazzutissimo: “Noi guidiamo, gli altri seguono”.


Mentre vengono acquartierati per l’addestramento nella base di Valcartier (nord est del Quebec) il nostro eroe si fa notare per le decorazioni tribali che ricoprono la sua tenda (fra le altre un caribou, simbolo del suo clan) che gli vengono concesse nonostante lo stringente regolamento militare a patto di guadagnarsi il soprannome di ‘Peggy’ che lo accompagnerà per tutto il conflitto e che nasce dalla chiara difficoltà dei suoi istruttori di pronunciare il suo nome Ojibwe.

Nel febbraio 1915 comunque le pinzillacchere sono finite e l’intero primo battaglione fanteria della prima divisione canadese poggia i suoi acerosi piedi in Europa a fianco degli Alleati, in una guerra che in molti hanno già visto diventare uno scontro immobile, terribile e fangoso sepolto nelle trincee scavate fra i cadaveri.

22 aprile, ore 17:30: i tedeschi nei dintorni della cittadina belga di Ypres hanno atteso di trovarsi con il vento a favore e ora stanno aprendo con precisione maniacale i manicotti di CINQUEMILASETTECENTOTRENTA BOMBOLE CONTENENTI CENTOSESSANTOTTO TONNELLATE DI GAS CLORO, che si spargono velocemente lungo sei chilometri del fronte causando la morte orribile di CINQUEMILA SOLDATI NEL GIRO DI DIECI MINUTI -il cloro brucia occhi e polmoni come un cerino gettato in un mucchio di foglie secche e cosparse di benzina in una giornata ventosa, solo che le foglie urlano di meno-.


Il gas liberato ha anche un’altra caratteristica molto utile in un frangente come quello della guerra di trincea: è più pesante dell’aria, quindi tende ad accumularsi verso il fondo fangoso dove trova le truppe coloniali algerine della 45esima Divisione francese che capiscono molto in fretta che restarsene nascosti (senza essere adeguatamente equipaggiati) equivale a morire malissimo, quindi (giustamente) si ritirano lasciando dietro di sè una breccia enorme che nemmeno i tedeschi si aspettavano e per cui non hanno preparato abbastanza rincalzi per occupare le posizioni abbandonate.

“Où vous allez les fous?”
“Recouvrir la brèche!”
“Vous êtes fous? Le gaz va tous vous tuer!”
“Non ,tant qu’on a de la pisse dans la vessie! Allez les hommes! Nous conduisons, les autres suivent!”

(“Dove cazzo andate, folli?”
“A coprire la breccia!”
“Siete pazzi? Il gas vi ammmazzerà subito!”
“Non finché abbiamo del piscio nella vescica! Avanti uomini! Noi guidiamo, gli altri seguono!”)

Le truppe canadesi hanno capito una cosa prima di tutti gli altri: con il vento a favore qualsiasi cosa che non sia una ritirata pone gli Alleati in una posizione difficilmente difendibile.

Qualsiasi cosa eccetto un’avanzata.

Se è pur vero che il cloro ha devastato le trincee, il vento sta continuando a soffiare spingendo il gas sempre più lontano. Di contro in una situazione come questa il posto più sicuro è il più vicino possibile al nemico.

Immaginate di essere un soldato tedesco:
siete sicuri che il vostro attacco ha sterminato le fila nemiche. Avete sentito chiaramente i rantoli e i lamenti di chi annaspa in cerca dell’ultima boccata d’aria prima di morire. Certo, usare il gas non è il combattimento glorioso che vi aspettavate quando vi siete arruolati ma dopo quasi un anno di trincea siete disposti a usare qualsiasi mezzo purché vi faccia tornare in fretta alle vostre…

*rumore di sparo*

Dalla trincea alleata fanno capolino delle sagome intabarrate che si intravedono a stento nella nube di gas mortale.


Sono i canadesi, che avanzano schiacciandosi sulla faccia dei fazzoletti intrisi di urina -non si conosce il nome di chi ha avuto l’idea, ma senz’altro era una persona con delle conoscenze in chimica dato che l’ammoniaca del piscio è in grado di reagire con il cloro, neutralizzandolo- e sparano a qualsiasi cosa faccia anche solo il gesto di alzare la testa fuori dai ripari.

Il fronte è ricompattato e la linea alleata regge, nonostante i ripetuti attacchi, fino a 3 maggio.
L’ingresso in guerra dei canadesi in questa maniera eroica vale loro il massimo del rispetto per aver difeso una posizione considerata ormai persa (si teorizza che se i tedeschi avessero sfondato a Ypres sarebbero stati a un passo da Parigi) nonostante i più di mille morti e quattromila feriti su un totale di diecimila soldati dell’intero corpo di spedizione.

E Francis? Il nostro eroe in quei giorni maledetti si è fatto un nome per le sue grandi doti di scout (che in una guerra di trincea equivale nel sapersi muovere nella ‘Terra di Nessuno’, le decine o centinaia di metri -va a seconda- che separano due trincee solitamente zeppi di mine, filo spinato, cadaveri, crateri di bombe e potenzialmente battuto centimetro per centimetro dallo sguardo di chiunque possegga un fucile nell’arco di chilometri) e le sue ancor più eccezionali capacità di cecchino, che gli portano sul campo la promozione a caporale tra l’approvazione dei compagni.

Muoversi qui in mezzo non doveva essere bello.

Primo luglio 1916, ore 7:30: lungo i circa sessanta chilometri di fronte che vanno da Hébuterne a Lassigny (Francia settentrionale) ha inizio un’impressionante serie di offensive alleate nel tentativo di alleggerire l’enorme pressione tedesca su Verdun e rimescolare così le carte in tavola sul fronte occidentale.

Le manovre avvengono in un settore tagliato in due dal fiume Somme, che darà il nome a questa mattanza spaventosa in cui UN MILIONE E DUECENTOMILA UOMINI troverà una morte più o meno orribile a seconda dei casi. Ironico se si considera che il nome ‘Somme’ arriva dal latino ‘Samara’ che ha mutuato dal celtico la parola ‘Tranquillità’.

In quei giorni di tranquillo non c’era proprio un cazzo.

Dopo una settimana di bombardamenti preparativi e lo scoppio di dieci enormi mine -che ai più attenti fra voi dovrebbero ricordare qualcosa l’idea degli anglo-francesi era quella di avanzare con un’enormità di fanteria che avrebbe poi aperto dei varchi per il passaggio della cavalleria che (sempre secondo i piani) avrebbe portato ad una definitiva vittoria.

Non è la prima volta (e non sarà l’ultima) che i progetti escogitati da vecchi generali impomatati si rivelano essere una porcata allucinante.

I tedeschi, ben protetti dall’artiglieria nei loro ‘stollen’ (‘rifugi’) riprendono agilmente le posizioni e si ritrovano davanti una mastodontica massa di uomini che procede a passo di marcia nella terra di nessuno.

Non devono nemmeno mirare, basta premere il grilletto.


A peggiorare le cose (se possibile) dopo quattro mesi di inutili assalti arriva una pioggia incessante che tramuta il terreno scavato, rivoltato e massacrato in un’unico grumo di fango appiccicoso. Il 19 novembre terminano le ultime fasi della battaglia e la quantità di corpi lasciati sul terreno è un qualcosa che, pur sforzandoci, ci risulta inimmaginabile.

Fun facts: Otto Frank (il padre di Anna), Adolf Hitler e J.R.R. Tolkien erano presenti in questa battaglia come fanti. Pensate come sarebbe potuto cambiare il mondo se degli Hobbit avessero ucciso il Fuhrer trafiggendolo con Pungolo, prima di scrivere le loro memorie nascosti in una soffitta.

Basta con la droga, dai.

E Francis (di nuovo)? Anche in questo frangente il primo battaglione canadese viene schierato come rincalzo d’assalto durante l’offensiva, ma per il nostro protagonista stavolta va un po’ meno bene di Ypres e rimedia una ferita alla gamba sinistra (non grave abbastanza per ritornare a casa) da cui si rimette in tempo per essere trasferito in Belgio.

Durante i mesi successivi ‘Peggy’ viene insignito della Military Medal per aver consegnato dei messaggi di primaria importanza strisciando dietro le linee nemiche e il suo tenente lo nomina per ricevere la Distinguished Conduct Medal sottolineando la sua ‘fedeltà al dovere’, ma qui la tensione e lo stress accumulati nel trascorrere due anni a uccidere e veder morire i suoi commilitoni trovano sfogo in un pessimo rapporto con i superiori, che lo porteranno addirittura a essere degradato (pur tra il sempreverde sostegno dei soldati semplici).

Il sei novembre 1917 il nostro eroe si guadagna la sua prima ‘Medal Bar’ durante la seconda battaglia di Passchendaele, l’atto finale della terza battaglia di Ypres (la cittadina belga si è ritrovata, suo malgrado, sulla cresta dell’onda durante il conflitto) in cui il Canadian Corps aveva ricevuto l’ordine di avanzata per catturare delle posizioni sopraelevate e asciutte in vista dell’arrivo dell’inverno. Il battaglione di Francis avanza dritto su Passchendaele, ma il comando perde quasi subito i contatti con il suo fianco est e nella campagna belga rivoltata dalla guerra era questione di un attimo che sbagliavi direzione e ti ritrovavi nella trincea sbagliata a mangiare crauti e bratwurst.

E piombo. Un sacco di piombo.

Quando il generale canadese Arthur Currie sta cominciando a diventare sudatino credendo di aver perso la sua intera ala destra nella terra di nessuno gli comunicano che uno scout -indovinate di chi si tratta?- si è messo alla testa degli uomini e li ha guidati in posizione aggirando le difese teutoniche. L’assalto è lanciato come da programma e la cittadina belga viene presa, prima che l’avanzata alleata si debba arrestare a causa del ‘piccolissimo’ contrattempo avvenuto sul fronte italiano, il cui esercito si ritrova completamente allo sbando dopo il disastro di Caporetto.

“Potremmo aver fatto un piccolo errore di valutazione”

La guerra, purtroppo per tutti, continua e il 30 agosto 1918 ‘Peggie’ si ritrova schiacciato in una trincea travolto da un assalto tedesco. Il problema principale è che l’intera compagnia di cui fa parte non era affatto preparata a sostenere una pressione del genere e le munizioni scarseggiano assai, paventando per tutti la scelta fra il morire e l’arrendersi.

‘Vento che Soffia’ ha però un’altra idea.

Strisciando nella Terra di Nessuno inizia a fare la spola fra le postazioni abbandonate e la sua trincea più e più volte, riuscendo infine a rifornire di proiettili i suoi compagni quel tanto che basta per tenere la posizione e respingere il contrattacco crucco.

L’azione gli vale la sua seconda Medal Bar, decorazione che solo altri 38 canadesi (ancora vivi) potevano permettersi di sfoggiare tornando a casa.


La guerra che sembrava non dover finire mai termina nel novembre del ’18 e il nostro protagonista viene rimandato a casa.

Ha servito consecutivamente per quasi l’intero periodo del conflitto e usando un fucile bolt action calibro .303 (e la protezione dei suoi antenati, che attrae con una sacca di talismani legata intorno al collo) è arrivato all’impressionante cifra di TRECENTOSETTANTOTTO uccisioni confermate e la cattura di altri TRECENTO prigionieri.


Mi sono concentrato a parlare unicamente delle sue doti di scout di proposito, la conta delle sue capacità da cecchino è quasi irrealistica.

Prima di tornare alla vita civile viene ricoperto di medaglie (fra le altre la British War Medal, la Victory Medal e la 1914-15 Star) e promosso al rango di sergente maggiore.

La storia potrebbe terminare qui? Ma neanche per il cappero.

Tornato in Canada presta ancora servizio sotto i Northern Pioneers ma nel febbraio del 1921 viene richiamato a Shawanaga perchè la tribù di Parry Island Band ha deciso di eleggerlo come guida, come avvenne per suo padre e suo nonno prima di lui. Dopo aver ottenuto la carica Francis dimostra però di aver compreso molto poco negli anni della guerra su quanto cazzate come la razza siano inutilmente divisive -ma dopotutto nemmeno Hitler ci è arrivato-.

Scrive una lettera ai vari capiclan in cui suggerisce nemmeno troppo sottilmente di fare espellere dalla riserva chi non sia un ‘purosangue’, causando uno scisma interno alla riserva, le simpatie della frangia più intransigente e le inimicizie con chi vorrebbe invece una convivenza più pacifica.

John Daly, l’agente della DIA (Department of Indian Affairs) indica in più di un’occasione come molti dei soldati nativi che sono tornati dal fronte si siano ritrovati in posizioni chiave all’interno dell’attivismo politico e uno di quelli con più seguito (perciò pericoloso) era proprio Pegahmagabow, che spingeva per liberare la sua gente dalla schiavitù dei bianchi, con le armi se necessario.

Questione complicatissima comunque la si guardi, poichè Francis (insieme a tutto il suo popolo) ha certamente ragione da vendere -DECISAMENTE MENO sul razzismo verso i ‘mezzosangue’-, ma nel 1920 una guerra contro il Canada avrebbe portato semplicemente ad altri, inutili, morti.

Fra fasi alterne il nome di Vento che Soffia rimase uno dei più importanti dell’intera First Nations (anche se gli altri capitribù lo bollarono come agitatore e lo rimossero per lunghi periodi dalla sua carica) e nel 1943 venne insignito del titolo di Capo Supremo del Governo Indipendente Nativo, carica che mantenne fino al 1952, anno della sua morte.

Francis lascia dietro di sè sei figli, una riserva affranta, un posto d’onore nella Indian Hall of Fame al Woodland Center di Brantford, una sequela di libri sulla sua vita, una statua di bronzo splendida eretta nel 2016 nella Georgian Bay, un mucchio di medaglie, TRECENTOSETTANTOTTO cadaveri germanici e sopratutto “A Ghost In the Trenches”, una canzone power metal dei Sabaton dedicata a lui.

Nessuno mi dedicherà mai una canzone power metal.

Sono triste.

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Herbert Charles Orslow Plumer https://www.inutile-erudizione.it/herbert-charles-orslow-plumer/ https://www.inutile-erudizione.it/herbert-charles-orslow-plumer/#comments Thu, 03 Jan 2019 18:40:33 +0000 https://www.inutile-erudizione.it/?p=2076 E’ abbastanza lampante: la guerra è uno dei motori del genere umano.
Le lotte armate, ci piaccia o meno, sono esistite da che esiste l’uomo e sono sempre state accompagnate da un progresso scientifico enorme, da invenzioni divenute poi fondamentali nella società civile e da strumenti sempre più raffinati e potenti che ci hanno permesso di ucciderci in maniera sempre più efficace.
Si può dire che in un certo qual modo sono i conflitti a farci progredire come umanità, con tutto ciò che ne consegue.

La storia di oggi vuole rispondere a un semplicissimo quesito: qual è la più grande esplosione causata artificialmente prima dello scoppio della bomba atomica?


Herbert nasce a Torquay, nel sud dell’Inghilterra, nel 1857.
Dopo un’infanzia relativamente tranquilla viene rimbalzato dalla famiglia abbiente da un prestigioso collegio militare all’altro fino a uscire diplomato nel 1876 alla Royal Military Academy di Sandhurst con il rango di ufficiale all’interno del reggimento di York e Lancaster. Per i successivi diciassette anni (un periodo inusualmente lungo) decide di servire come aiutante in Sudan sotto il comando di Sir Gerald Graham, venendo segnalato più volte per l’ottimo lavoro svolto.

Nel 1896 viene trasferito in Sudafrica, dove i piani alti rimangono piacevolmente colpiti dalla sua idea di creare un corpo di fucilieri a cavallo di cui possono testare l’efficacia allo scoppio della ‘Seconda guerra di Matabele’, un conflitto che vede contrapporsi l’impero britannico e il popolo nativo dello Zimbabwe, gli Ndebele, che -anche giustamente- erano abbastanza stufi di dover sottostare all’autorità del popolo del cheddar e approfittarono di un momento di carenza di truppe armate nella regione per dare inizio ad una rivolta, confidando di poterla trasformare in rivoluzione.

Decisamente più organizzati dei gilet gialli.

L’unica cosa male calcolata fu l’entità rinforzi nemici che in breve tempo sciamarono nel paese da tutte le direzioni.
Per Plumer ed il suo contingente fu un grande successo.
Un po’ meno per i nativi che vennero sistematicamente massacrati, ma di quello in pieno colonialismo -e poi nemmeno oggi- non frega niente a nessuno.
Quello che colpisce molti invece è la figura di quest’abile comandante vittorioso che gli anni successivi vedranno impegnato in una continua scalata alla gerarchia militare.

1915: prima guerra mondiale.
Il generale britannico Douglas Haig, un uomo amichevolmente soprannominato dai suoi stessi sottoposti ‘macellaio’ per il vezzo che aveva di emettere ordini che causavano ogni volta migliaia di morti all’urlo di: “la mitragliatrice mai rimpiazzerà il cavallo come strumento di guerra!” sta scorrendo il dito sulla mappa del fronte di battaglia, provocando nei fieri soldati del re una stretta fortissima all’ano.

Cavalleria intensifrizz.

Haig accarezza l’idea di uno sbarco in forze nelle Fiandre occupate.
Il piano prevede enormi piattaforme galleggianti con cui trasportare intere divisioni per arrivare all’obiettivo di conquistare la fascia costiera nei dintorni di Middlekerke per poi spostarsi ad Ypres e consolidare una testa di ponte.
Un problema: l’altura di Messines, da cui i tedeschi trincerati in forze controllano agevolmente l’intera zona non aspettando altro che un tentativo di avanzata mentre si fregano le manine crucche sulla loro artiglieria.
Al ‘macellaio’ serve un uomo benvoluto dalla truppa e che abbia già dimostrato le sue doti di comando, qualcuno gli fa il nome di Plumer, il resto è abbastanza scontato.
Herbert viene messo al comando di dodici divisioni, con il compito dichiarato di riprendersi Messines.

 

Fosse facile.


Il nostro eroe, a differenza di altri, è uno di quei comandanti che ha a cuore la vita dei suoi uomini, odia il preconcetto diffuso che basti mandare a schiantare contro le difese nemiche ondate su ondate di corpi per vincere la guerra e più di tutto gli sta sul gozzo chi lo invita ad usare i suoi contingenti di cavalleria come aprifila per la carne da cannone che sarebbe seguita a piedi.
Messines è arroccata dietro una moltitudine di linee di trincea, mitragliatrici, cecchini e valanghe di filo spinato.
In particolar modo appare evidente che puntare ad attaccare il saliente (una sorta di sacca nello schieramento avversario creato apposta per massacrare chi prova ad occuparlo) di Wytschaete, sarebbe stato un inferno da cui in pochissimi sarebbero usciti vivi.


“Signore abbiamo stimato una perdita complessiva pari a tutte le nostre dodici divisioni e anche se per un qualche miracolo riuscissimo a penetrare le loro difese reggeremmo un paio di assalti, poi si riprenderebbero subito le postazioni e saremmo punto e a capo”
“No, così non va affatto bene…ci deve essere un altro modo. Non ho intenzione di sacrificare migliaia di vite per niente!”
“Signore, comunicazioni dall’alto comando! La situazione a Verdun e nella Somme è di primaria importanza. Ci ordinano di tenere la posizione e attendere nuove comunicazioni per l’avanzata.”
“Abbiamo del tempo quindi. Chieda loro se Messines la vogliono intera o meno.
“Signore?”
“Se non possiamo prenderci questo fottuto monte lo cancelleremo dalla faccia della terra!”

Il piano degli inglesi sulla carta è semplice: scavare delle gallerie sotto alle difese tedesche, riempirle di esplosivo e godersi i botti da lontano sorseggiando un buon tè.

L’esecuzione presentava però alcuni problemi:

– Il terreno era un incubo.

Nella zona tra falde sotterranee e infiltrazioni varie una qualsivoglia galleria sarebbe durata quanto un misofobico in un ospedale da campo. Plumer ovvia al problema facendosi spedire da Londra due geologi con i controcazzi che individuarono in prondità uno strato d’argilla sotto il quale si sarebbe potuto scavare in relativa sicurezza.
L’unico problema era che si parlava di PARECCHIO in profondità (nell’ordine dei quaranta metri per almeno cinque chilometri di lunghezza). Ci sarebbe stato da faticare.

– la strategia di scavare dei tunnel sotto le trincee non era proprio una novità a questo punto della prima guerra mondiale.
I tedeschi si aspettavano una mossa simile e incominciarono anche loro a sforacchiare il terreno per incrociare i tunnel inglesi. Per tutto il periodo di preparazione alla battaglia venne creata una rete di scavi più vicini alla superficie per attirare le attenzioni tedesche e mascherare i tunnel focali nella strategia. Funzionò.
I genieri dei rispettivi schieramenti si incontrarono sottoterra in diverse occasioni, scannandosi in corpo a corpo e facendo saltare le gallerie avversarie ma nessuno dei difensori ebbe nemmeno il sentore di cosa stava per accadere, se non quando era ormai troppo tardi.


Nel giugno del 1917, dopo che anche la seconda battaglia dell’Aisne giunse ad uno stallo di trincee, Herbert riceve l’ordine di procedere verso Ypres togliendosi di torno quel monte maledetto.
Lo prende in parola.

Ventidue enormi mine di dimensioni variabili per un totale di QUATTROCENTOCINQUANTACINQUE TONNELLATE di esplosivo Ammonal (composto da nitrato di ammonio, polvere di alluminio e polvere di carbone) vengono collocate nelle gallerie in profondità che per oltre un anno i genieri si sono adoperati a costruire.
La notte prima dell’inizio dell’offensiva il generale Plumer, al tavolo di guerra con gli ufficial, sentenzia: “Gentlemen, we may not make history tomorrow, but, we shall certainly change the geography”.


Il 21 maggio inizia l’offensiva. L’artiglieria britannica martella imperterrita per diversi giorni le postazioni difensive ed entrambi gli schieramenti fanno levare in volo i neonati caccia per abbattere i palloni aerostatici d’osservazione che hanno il compito di riportare i rispettivi spostamenti di truppe, con il risultato che a terra, in aria e ovunque è un susseguirsi di esplosioni e morti.
E’ un inferno.
E’ la guerra.
Il 7 giugno viene dato l’ordine di avanzata da terra e lo spettacolo che si trovarono davanti i soldati della prima ondata è ben descritto da Erich Maria Remarque, scrittore tedesco presente dall’altra parte della barricata:


“Vediamo vivere uomini a cui manca il cranio; vediamo correre soldati a cui un colpo ha falciato via i due piedi e che inciampano sui moncherini scheggiati, fino alla prossima buca; un caporale percorre due chilometri sulle mani, trascinandosi dietro i ginocchi fracassati; un altro va al posto di medicazione premendo le mani contro le budella che traboccano; vediamo uomini senza bocca, senza mandibola, senza volto; troviamo uno che da due ore tiene stretta coi denti l’arteria del braccio per non dissanguarsi; il sole si leva, viene la notte, fischiano le granate, la vita se ne va a goccia a goccia. Ma quel pezzetto di terra sconvolta sul quale stiamo viene mantenuto contro le prevalenti forze nemiche: poche centinaia di metri soltanto si dovettero cedere. E per ogni metro c’è un morto”

Alle 03:10 viene dato il segnale per l’esplosione che avrebbe aperto la via alla seconda ondata di fanteria inglese.
Due mine non detonano per malfunzionamenti, una viene disinnescata dai genieri tedeschi ma il resto delle quattrocento tonnellate detona come programmato.
L’esplosione immane fu udita distintamente anche da Londra e Dublino.
Una colonna di fuoco erompe dal terreno illuminando a giorno la notte, devastando il saliente, l’intero monte e disintegrando in un attimo l’intera 3a divisione bavarese, diecimila uomini che un attimo erano lì e l’attimo dopo sparpagliati nell’arco di diversi chilometri.
Il botto più grande causato dall’uomo fino a quel momento.

Uno dei piccolissimi crateri provocati.

Appena gli stessi inglesi si riprendono, spianano ciò che resta delle difese con colpi d’artiglieria caricati a gas (la causa maggiore di perdite inglesi nella battaglia, dato l’assembramento di truppe ed il tiro non proprio impeccabile) e caricano a testa bassa nelle trincee.
Dopo neanche tre ore di scontro i tedeschi capiscono la mala parata e si ritirano lasciando dietro di sè 7000 prigionieri, 75 cannoni, 95 mortai e 300 mitragliatrici.
Plumer viene osannato come un eroe, la battaglia è vinta e tutti gli obiettivi prefissati raggiunti.
Rimane solo un problema.
Due mine risultano inesplose, i tunnel dove sono state collocate sono collassati e il paesaggio in superficie è talmente cambiato che è diventato pressochè impossibile capirne la posizione.
“Eh, vabbè, se non sono esplose fino adesso”
“Massi’ non esploderanno mica da sole”


Estate 1955: campagna belga.
Le nuvole sono basse e nell’aria c’è quel buon odore di ozono che contraddistingue un temporale estivo.
È tutto molto bucolico e tranquillo, su una collinetta una mucca rumina tranquillamente menBOOOOOOOOOOOOM!
Niente più mucca.
Niente più collina.
Niente più tranquillità.
Al loro posto un cratere di sessanta metri e profondo venti.

Ad oggi rimane ancora una mina inesplosa vecchia di cent’anni, sepolta sotto circa venti metri di terra e caricata con diciotto tonnellate di Ammonal.
Doveste capitare nei dintorni, io un pensierino a lei ed al generale Plumer lo farei.

Mine, potenza e crateri.
Gentilmente offerti da Wikipedia.

 

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