Athanase Seromba

Dovreste già saperlo: il colonialismo europeo ha fatto danni incalcolabili nei paesi in cui si è instaurato.
Per secoli ha drenato ricchezze, culture e vite con lo scopo principale di aumentare gli introiti di popoli che molto ipocritamente ‘esportavano la civiltà’ -cosa che succede anche oggi in maniera un po’ meno pubblicizzata del passato, ma non divaghiamo-.

Colgo l’occasione della Personalità Buffa di oggi per rimarcare una storia recente che il mondo, soprattutto quello occidentale, ha fatto e fa tutt’ora del suo meglio per dimenticare sotto al tappeto del menefreghismo…peraltro in gran parte riuscendoci:
Queste sono le azioni di uno dei peggiori preti cristiani di cui si ha memoria.
Questa è anche la narrazione degli avvenimenti di un paese che ha ospitato una delle guerre civili con più morti dell’intera razza umana, del genocidio che ne è seguto e che ha ancora oggi strascichi pesantissimi su diverse migliaia di persone ma che facciamo finta che non esista girandoci dall’altra parte perché così ci fa sentire meno in colpa.
Lo scopo di queste righe, almeno per qualche minuto, è una volta tanto quello di concentrare l’attenzione su questi fatti.
Ma basta preamboli! Andiamo a cominciare.


Africa centrale, regione dei grandi laghi, attuale territorio ruandese, attorno all’anno 0 -sì la prendo alla lontana- alcuni pigmei appartenenti al popolo Twa (una delle più antiche comunità del paese) decidono di stabilirsi qui per l’invidiabile binomio foreste lussureggianti/abbondante presenza di acqua che ben si accompagna ad un clima temperato, tra i più salubri del continente (pur essendo sulla fascia equatoriale la zona ha dalla sua un altitudine media di 1700 m che tiene le temperature permanentemente intorno ai 20°).

1000 d.C: ai Twa si va ad aggiungere una migrazione di diverse tribù Hutu, riconducibili all’etnia Bantu (diffusa per tutto il centro e sud Africa che condivide ceppi linguistici e culturali che racchiudono i 2/3 della popolazione del continente).

Nel XIV secolo sia i Twa che gli Hutu vengono assoggettati dai Tutsi, più noti nell’immaginario italiano come Vatussi -sì, “gli altissimi negri” di Edoardo Vianello-, provenienti dall’Etiopia.
I Tutsi prendono il controllo della regione, la dividono in piccoli stati ed istituiscono una gerarchia per comandarli mettendo al vertice un re chiamato Mwami, che governa dalla sua corte in Uganda.

Nel 1880 la corsa alle colonie è uno status symbol come l’aperitivo col Negroni. Tutte le nazioni europee vogliono avere un qualche territorio da sfoggiare per sentirsi importanti e nasce il nuovo imperialismo che porterà in una trentina d’anni alla spartizione dell’intera Africa, da principio intaccata solamente sulle coste.
I migliori esploratori di ogni maggiore potenza europea vagano per il misterioso continente nero con l’obiettivo di arrivare ad essere i primi a rivendicare qualche pezzo di terra in nome di re ed imperatori lontani migliaia di chilometri, il più delle volte badando a malapena di sfuggita alle popolazioni calpestate nel compimento del dovere.
Gustav Adolf von Götzen è un nobile soldato tedesco divenuto molto famoso in patria per le sue ardimentose scorribande africane (leggasi: aveva militato fino al grado di tenente in un contingente dell’esercito tedesco che si era stanziato nei pressi del Kilimanjaro e da lì espandeva l’influenza del Reich, parecchi anni prima che ciò significasse deportare ebrei).
Viene scelto per il non facile compito di introdursi negli ancora vergini territori centro-meridionali che correvano il concreto rischio di finire sotto il controllo belga proveniente dall’attiguo Congo.
Come sempre in questi casi, vince chi arriva per primo.

Gustav Adolf von Götzen, con dei tipici baffi da esplorazione.

Götzen parte da Pangani (sulla costa orientale) il 21 dicembre 1893, alla testa di una spedizione che attraversa in cinque mesi la regione del Maasai approdando sulla sponda inesplorata del fiume Kangera, penetrando così in Ruanda;
Grazie ai suoi interpreti riesce ad avere un colloquio con il Mwami nella città di Nyanza, sul lago Kivu;
In buona sostanza lo convince a far risultare il paese (almeno sulla carta) come facente parte dell’Africa Orientale Tedesca, dopodiché riparte ridiscendendo il Congo -e sospetto facendo il dito medio a tutti gli esploratori belgi che incrociava- per imbarcarsi infine nel gennaio del 1895 sulla costa atlantica e tornare in patria a riferire la notizia.
Götzen da lì in avanti diviene una figura emblematica della politica coloniale tedesca, ottenendo via via incarichi sempre più importanti ed avanzamenti di grado militare.
Un lieto fine per lui, l’inizio dei casini per il Ruanda.

Facciamo un salto temporale in avanti e arriviamo rapidamente al 1919.
La Germania è messa malino al termine della prima guerra mondiale; il carnaio che ha lasciato dietro di sè circa 24 milioni di morti vede cadere diversi imperi (tedesco, austro-ungarico, russo), sorgere nuove nazioni dallo smembramento degli stessi e cambi di potere in molti territori; per lo stato centraficano in cui si svolge la nostra storia questo significa passare sotto il controllo del Belgio per mandato della Società delle Nazioni.
Ecco, questo complica le cose per i ruandesi.

L’unico vero interesse dei belgi in Ruanda.

Fino all’arrivo dei coloni belgi le tre etnie del paese (i Twa delle foreste, gli Hutu agricoltori e i Tutsi allevatori) avevano convissuto più o meno pacificamente tra loro e sebbene fossero differenti per una moltitudine di fattori culturali, non era nemmeno così infrequente che avvenissero matrimoni che mescolavano le varie famiglie.
Le cose cominciano a prendere una piega decisamente differente quando la nuova amministrazione coloniale decide di basare le sue politiche di governo sul mai tramontato ‘Dividi et Impera’. Nel 1926 viene introdotta una differenziazione del popolo del Ruanda basata su “osservazioni antropologiche di anatomia e razza” che vede i Twa (1% della popolazione) come “pigmei di bassa statura, simili alle scimmie”, gli Hutu (80%) i “negri di media altezza” e i Tutsi, “più alti, dalla pelle più chiara e lineamenti più sottili, senza dubbio i più occidentali tra queste bestie”; tacendo ovviamente sul fatto che l’aristocrazia ricca e più accondiscendente con i dominatori europei era guarda caso quella Tutsi.
Lo ‘studio antropologico’ non fu un mero esercizio di razzismo, ma si decide di fargli seguire l’istituzione di una sorta di carta di identità che segnali senza ombra di dubbio l’etnia di appartenenza, rendendo tra le altre cose impossibili i contatti tra di esse e la formazione di un sentimento di popolo in quanto tale.
Quello che invece si sviluppa grandemente grazie a questa trovata è il sentimento d’odio che si instaura tra la popolazione Hutu (quella in maggioranza povera e costretta a subire di tutto) e quella Tutsi: ricca, coccolata dalla carota belga e che spadroneggia in ogni modo immaginabile.

Abbiamo tutti gli ingredienti per il disastro, mettiamo il coperchio e facciamo cuocere a fuoco lento per 33 anni.

  • 1959: cosa succede ad un paese che vede il 20% della popolazione al potere grazie all’appoggio di un altra nazione quando quest’altra nazione decide che “è stato bello ma anche basta, mi riprendo i militari che aiutavano a tenere in riga gli altri ma non ti preoccupare tanto poi ti chiamo io”?
    Succede che l’80% restante si incazza, rovescia la monarchia dei Tutsi ammazzandone un buon 100.000 e scaccia gli altri a calci in culo verso Uganda e Burundi, arrivando ad un referendum nel ’61 che vede l’anno dopo la nascita del Ruanda indipendente.
  • 1966: Burundi: dopo una sequela di colpi di stato fomentati a gran voce dalle due etnie in lotta, i Tutsi salgono al potere.
    Nel ’72 c’è il tentativo di rovesciare il governo da parte degli Hutu che vengono pacatamente massacrati in 200.000.
Habyarimana: Lo sguardo di chi ne ha uccisi tanti, il sorriso di chi ne ha massacrati molti.
  • 1973: il generale Hutu Juvénal Habyarimana prende il potere in Ruanda instaurando nel ’75 un regime autoritario.
  • 1988: ancora Burundi: sotto un governo a maggioranza Hutu avvengono diversi scontri tra le due fazioni che lasciano sul campo decine di migliaia di morti.
    Dal canto loro i Tutsi sono penetrati nell’esercito, lo controllano dai piani alti e preparano un piano per liberarsi in un sol colpo di Habyarimana e lasciare un vuoto nel governo del Ruanda pronto per essere colmato…il 6 aprile del 1994 decidono quindi molto moderatamente di SPARARE UN MISSILE TERRA-ARIA all’aereo presidenziale di ritorno da un colloquio di pace con i piani alti del Burundi, Juvénal muore, ma le cose non vanno esattamente come avevano programmato…

ATTENZIONE!!! Quanto scritto qui sopra è solo una delle spiegazioni per ciò che è successo. A distanza di anni ancora non si sa per certo CHI ha fatto partire il missile. Alcune teorie dicono che sia stato un piano di alcune frange dello stesso partito presidenziale preoccupate per i progetti di reintegrazione dei Tutsi all’interno del governo.
Quale che sia la verità, il risultato cambia poco, la morte di Habyarimana da il casus belli necessario per ciò che avviene in seguito-

…appena si diffonde la notizia della morte del presidente in tutto il paese la Guardia Presidenziale coadiuvata dall’esercito e da forze paramilitari come la Impuzamugambi (“coloro che hanno lo stesso obettivo”) iniziano una caccia serrata ad ogni tutsi che gli capita sotto tiro.

Hai la carta d’identità tutsi?
Muori.
La tua famiglia è imparentata con un tutsi?
Muori.
Hai dei lineamenti diversi da quelli hutu?
Muori.
Sei alto più di un tot.?
Muori.
Sei un hutu ma non ammazzi tutsi?
Muori.
Mi stai sul cazzo per qualche motivo?
Ti faccio passare per tutsi, muori.
Insomma ci siamo capiti, in quei momenti si moriva abbastanza spesso.

Per 100 (cento) giorni le cose vanno avanti in questa maniera:
Ti svegli, dalla radio nazionale RTML vengono mandati continui appelli per “invitare la popolazione a seviziare ed uccidere gli scarafaggi tutsi” e se sei uno di loro la tua giornata parte già parecchio sudatina; passi il resto del tuo tempo tentando di nasconderti e scappare da qualsiasi cosa somigli anche solo vagamente ad un altro essere umano, perché non puoi sapere se chi ti trovi di fronte è un pazzo maniaco omicida che vuole la tua testa perché appartieni ad un altra etnia, perché hai tre capre e lui nessuna o magari perché eri sì un hutu, ma sta cosa di massacrare a cazzo di cane non ti va benissimo.

A Gikongoro, sede di un importante istituto tecnico del paese, si massacrano 27.000 persone, per darvi un idea la quantità i cadaveri scaricati nelle fosse comuni era talmente esagerata che il terreno non riesce più a drenare il sangue che letteralmente zampilla dal nulla. In un solo giorno vengono uccise 8.000 persone, che fa 333 persone all’ora, più o meno 5 al minuto.
Una delle cose che fanno più impressione è che questi poveracci non vengono ammazzati da bombardamenti o da armi da fuoco, ma per la maggioranza trovano la morte sotto un attrezzo rudimentale quanto efficace…il machete;
ne vengono importati in fretta e furia 581.000 dalla Cina, felicissima di andare incontro a così tanta richiesta ed ovviamente non è davvero realistico che pensassero nemmeno per un momento che il paese si trovasse di fronte ad un enorme infestazione di erbacce.
Il presidente degli esteri egiziano Boutros-Ghali fece da tramite per un affare da 26 milioni di dollari per l’importazione di bombe di mortaio, lanciarazzi, granate e munizioni.
Così rifornite le milizie hutu riuscirono in due mesi e mezzo a fare una cifra di morti che si aggira (impossibile avere dati certi) tra gli 800.000 e 1.000.000.

-Hitler per fare un paragone ha ammazzato 15 milioni di ebrei, ma ci ha messo qualche anno e di lui ci ricordiamo di più.-

Un momento, e il resto del mondo cosa faceva mentre un milione di persone veniva massacrata? Si arrabbiava? Si indignava? Si mobilitava? No niente, nicchiava.
In Ruanda non ci sono pozzi di petrolio o grandi interessi che facciano muovere il culo a quei paesi che si infervorano all’urlo di ‘libertà e democrazia’, per cui semplicemente il concetto era “sono negri, son lontani, cazzocene”.
L’ONU risponde al general maggiore Dallaire che era di stanza nello stato centraficano e che esprime preoccupazione sull’imminente conflitto RICHIAMANDO 2000 dei 2500 uomini assegnati.
Il dipartimento per le missioni di pace con sede a New York semplicemente SI DIMENTICA di inviare la richiesta per la missione al consiglio di sicurezza che dal canto suo dando più peso al veto degli Stati Uniti (spaventati dal ripetere una nuova Mogadiscio) che al milione di morti ammazzati, non riconosce che in Ruanda stia avvenendo un genocidio prima di due mesi dal suo inizio (quando ormai era fatta), probabilmente pensando ad una folkloristica e amichevole dimostrazione d’affetto con i machete.
Belgio e Francia inviano dei contingenti giusto per parare il culo ai propri cittadini ed anzi alcune milizie francesi arrivano addirittura ad affiancarsi alle truppe hutu in ritirata dopo che dai paesi vicini i tutsi si riorganizzarono in colonne armate per il contrattacco, che dà il via ad un contromassacro nella più biblica versione di occhio per occhio che va avanti ed andrà avanti penso fino all’estinzione -a questo punto attesa da me abbastanza favorevolmente- dell’intera razza umana.

Un attimo…siamo arrivati fin qui e non ho speso neanche una parola su Seromba? Quanto cazzo è lunga questa Personalità Buffa?
Tranquilli, con quello che ho detto fin qui ho spiegato quello che mi serve per chiudere abbastanza in fretta.

Athanase Seromba era un sacerdote cattolico hutu di una parrocchia del Kibuye, nel Ruanda occidentale.
Immaginate di essere un prete nel mezzo di un genocidio, cosa fate?
Quale che sia la vostra risposta quello che tirò fuori Seromba dal cilindro sospetto non lo insegnino in seminario:
Il sacerdote dapprima si adopera per trovare rifugio ad una moltitudine di tutsi in fuga (circa 2000) che vengono attirati da Athanase stesso all’interno della chiesa e nei suoi dintorni in modo tale che “nemmeno la follia di quegli assassini potrà spingersi nella casa del Signore”.
Non appena i 2000 rifugiati furono sistemati nella parrocchia Seromba contattò le milizie ed insieme a loro FECE RADERE AL SUOLO LA SUA CHIESA DALL’ARTIGLIERIA CON DENTRO UOMINI, DONNE E BAMBINI, per poi passare al lavoro di fino col machete, tutti insieme appassionatamente.

Alla fine dei massacri scappa prima in Congo e poi in Toscana dove si presenta sotto il falso nome di Atanasio Sumba Bura, venendo destinato alla parrocchia dell’Immacolata e S.Martino a Firenze e successivamente venendo accolto a braccia aperte nel vescovado, in territorio vaticano.

Fortunatamente Carla Del Ponte, una magistrata svizzera incaricata dalle Nazioni Unite di perseguire i crimini di guerra, riesce ad ottenere la sua estradizione per il processo in Tanzania che lo vede imputato per genocidio e crimini contro l’umanità.
Ci vuole ancora un po’, ma nel marzo del 2008 il tribunale lo condanna definitivamente all’ergastolo (in principal modo per la sua partecipazione attiva al massacro dei superstiti, cosa di cui peraltro Seromba è sempre andato fiero) che questo granitico figlio di puttana sta scontando in una prigione del Benin, spero il più scomodamente possibile.

Ecco adesso che avete finito la lettura potete tornare a far finta che questi fatti non siano mai accaduti, che il Ruanda sia un paese che ha come unica attrattiva storica quella di aver fatto un film da cineforum e che comunque noi europei con questi avvenimenti non c’entriamo nulla.

Che a furia di ripetersi le cose poi uno finisce che ci crede.

Che a furia di ripetersi le cose poi uno finisce che ci crede…

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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