Graziano Mesina

Io sono a tutti gli effetti uno strano miscuglio: provengo da una famiglia metà sarda e metà siciliana ma sono nato, cresciuto e tutt’ora tento di sopravvivere in quel della fredda Ossola, un insieme di valli sparse sul confine svizzero.
Se fossi uno dei piselli di Gregor Mendel (padre delle teorie sull’ereditarietà, divenute in seguito genetica) sarei stato senz’altro scartato da tempo in quanto basso, tarchiato, scuro e con una naturale predisposizione all’alcolismo e all’odio nei confronti dell’umanitá in generale.

Però alla bisogna mi cresce una barba notevole.

Il mio legame con le terre lontane a cui appartenevano i miei avi è pressochè nullo -così come il rapporto con i tre quarti dei miei familiari- ma è anche grazie a questo che ho ottenuto la strana peculiarità di fare parte di tante realtà purtuttavia senza riconoscermi in nessuna di esse -sembro Balto sotto codeina, ne sono consapevole-.
Una caratteristica che viene comunque utile per osservare le cose con oggettività, meno funzionale per crescere in un luogo ed in un periodo in cui vigevano -ed in ancora vigono- rimasugli di un pensiero incentrato sul: “disinfettiamo i treni dei terroni che vengono qui a rubarci donne e lavoro e aiutiamoli a casa loro”.
È anche per questo che inorridisco quando a dire queste stesse porcate oggi sono le stesse persone che ne erano il bersaglio ieri, ma ormai ho capito che aspettarmi della memoria storica dall’italiano medio è una speranza vana.

 

Tutta questa introduzione è fatta esclusivamente perchè la Personalità Buffa di oggi è di origine sarda e anche se mi ritengo appartenente a quella terra quanto il pecorino grattuggiato della COOP (spoiler: poco) ritengo per la stessa regola vigente nell’hip hop di poter utilizzare un certo tipo di terminologia senza scadere nel ‘politicamente scorretto’, perchè almeno per genealogia ne faccio parte anche io.

“You can say ‘nigga’, if you are a nigga”.

-DISCLAIMER!-
La Sardegna ha una storia talmente lunga, variegata e profonda che percorrerla tutta nello specifico richiederebbe mesi e mesi di intenso lavoro rischiando di spostare fin troppo l’attenzione da quello che voglio raccontare. Vi beccherete dunque un riassunto di massima e dovrete accontentarvi di quello, quando percepirò finalmente un lauto stipendio solo per scrivere COSE, probabilmente, sarà diverso.

In quanto seconda isola in ordine di grandezza dell’intero Mediterraneo (il primato spetta alla Sicilia) sin DALL’INIZIO DELLA CIVILTÀ la Sardìgna -in lingua madre- è stata un attracco fondamentale per qualsiasi popolo mettesse in acqua qualcosa di galleggiante possedendo velleità di navigazione. Nella sua storia millenaria esistono una moltitudine di periodi importanti, di questi mi soffermo su tre ritenuti fondamentali:

-PERIODO NURAGICO-

Abbracciando gli anni che vanno all’incirca dall’età del bronzo (1800 a.C) al 100 a.C. è contraddistinto dallo sviluppo di un popolo di guerrieri, navigatori, pastori, contadini e commercianti suddivisi in varie tribù che risiedevano in centinaia di villaggi sparsi per tutta la regione.
Caratteristica più lampante di questa civiltà sono i nuraghi, costruzioni di pietra tronco-coniche presenti sull’intera isola a circa tre chilometri quadrati di distanza l’una dall’altra e sulla cui funzione torme di studiosi ancora dibattono ferocemente a colpi di badile spaziando dalle ipotesi di torricastelli di guardia, osservatori astronomici, tombe monumentali o un misto di tutto questo.


Sia come sia ai giorni nostri ci sono arrivati circa SETTEMILA nuraghi in condizioni più o meno buone, segno che gli antichi sardi di muratura fossero degli esperti.
Come in molte mie partite a Civilization il declino giunge a causa di un conflitto con i cartaginesi subito seguito da uno con i romani, un popolo con cui tutti gli abitanti del Mediterraneo dovettero fare i conti.

‘Una civiltà muore, un’altra fiorisce’, la storia dell’umanità si può riassumere in sei parole.

-PERIODO DEI GIUDICATI-

Balziamo al nono secolo d.C. con l’impero bizantino che prendendo atto delle richieste di autonomia delle istituzioni locali decide con molto fair play di mantenere un controllo puramente nominale sull’isola, rimettendosi ad un governo locale.
Intorno al 1004 Mujāhid ibn ʿAbd Allāh al-ʿĀmirī (italianizzato con il ben più ridicolo nome di ‘Musetto’), governatore arabo delle isole Baleari e della città spagnola di Denìa, decide di formare un’armata e partire alla volta della conquista della Sardegna.

Pirati saraceni alla riscossa!

Quello che Musetto non ha considerato è che la popolazione autoctona non è per niente d’accordo e si è preparata a respingerlo non appena le prime truppe mettono piede sulla terraferma, mentre dal mare la flotta pisana e quella genovese stanno veleggiando a tutta forza per calare sugli infedeli con furiosissimo sdegno.

Da questa vittoria i sardi ottengono due cose:


1- la famosissima ‘bandiera dei quattro mori’ che tradizione vuole arrivare direttamente dal gonfalone donato da papa Benedetto VIII ai pisani per convincerli a partire.


2-
quattro regni indipendenti legati fra loro, i cosidetti ‘Giudicati’: Torres, Gallura, Arborea e Calari che danno vita ad un’efficacissima rete politica ed amministrativa. Questo porta allo sviluppo di un sistema giuridico locale (promulgato con la ‘Carta de Logu’), considerato dagli storici come una fra le più importanti costituzioni di principi dell’intero medioevo.

Con gli anni quello che sembrava essere una collaborazione fruttuosa fra piccoli regni va, come spesso accade nella storia, alla malora e all’alba del tredicesimo secolo l’unico che ha resistito alle ingerenze esterne mantenendo la propria sovranità è il regno di Arborea.

-REGNO DI SARDEGNA-

1297: papa Bonifacio VIII ha per le mani una patata bollente (in pratica una ‘papata bollente’ -scusatemi, è una battuta orribile-) dovendo mediare all’ennesima contesa fra il regno d’Aragona ed il ducato d’Angiò dopo la fine della prima ‘guerra del Vespro’, combattuta per mettere le mani sulla Sicilia.
Come tutte le volte che a quei tempi la Chiesa compie una qualsiasi mossa politica lo fa prevalentemente per tornaconto personale, in questo caso smercia l’isola come se fosse un sacco di granaglie ai re d’Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio ed una rendita annua che i libri di storia chiamano ‘censo’ ma io vedo meglio come ‘pizzo’.

Le armate aragonesi si arrischiano però a mettere fisicamente piede sul territorio sardo solo ventisette anni dopo, aiutati dagli arborensi che puntano a liberarsi di secoli d’ingombrante presenza pisana.
Levati di mezzo gli abitanti di un posto in cui non si riesce nemmeno a tirar su dritta una torre, i locali capiscono però che l’Aragona non si accontenterà mai di una convivenza. Inizia una strenua resistenza che verrà piegata definitivamente solo nel 1420.

Tre secoli dopo la Sardegna è diventata per i vari imperi europei simile ad una carta di Magic rara che vogliono tutti ma che annoia in fretta.
Il dominio aragonese ha termine alla fine della guerra di successione spagnola e fa entrare l’isola nella collezione dei territori degli Asburgo. Nel 1720 dopo una velocissima riconquista spagnola l’isola passa nuovamente di mano seguendo i dettami del trattato dell’Aia che la affida ai Savoia fino al 1847, anno in cui i possedimenti sabaudi diventano possedimenti del REGNO ITALIANO sabaudo.

Varia la forma, non la sostanza.

-DISCLAIMER N.2-
Tutta questa manfrina è per far capire a chi ne è a digiuno il setting della storia che sto per raccontare.
I sentimenti di autonomia di questo popolo con una cultura millenaria così profonda e differente dal resto del continente (anche per la posizione geografica) sono, al netto di tutto, comprensibili anche per quelle persone che credono che la Sardegna emerga dalle acque solo quando ci vanno in vacanza loro e che per il resto sia una terra composta da pecorai ignoranti che odorano di formaggio e nel tempo libero rapiscono gente a caso.
La realtà è ben diversa, anche se innegabilmente il Personaggio Buffo di cui parlerò oggi corrisponde per qualche tratto a quest’ultima descrizione.

Graziano ‘Grazianeddu’ Mesina nasce ad Orgosolo, centro sui monti in provincia di Nuoro, il 4 aprile 1942.
Nono di undici fratelli di una famiglia di pastori, il nostro protagonista sboccia molto presto PRENDENDO A PIETRATE il suo maestro in quarta elementare. Cacciato a sberloni nell’aspra campagna sarda ovvia per prendere a sassate le pecore ed occasionalmente i fratelli che lo accompagnano.

1956: se non sono Mimimmi, si sa, le pietre alla lunga annoiano.
Mesina passa al livello successivo quando viene trovato appena quattordicenne in possesso di un fucile calibro 16 rubato. La storia qui si sdoppia perchè da un quotidiano dell’epoca pare che la vicenda termini a malloreddus, mirto -la versione sarda di tarallucci e vino- e perdono giudiziale (sostanzialmente una grazia che si applica a discrezione della corte solo in caso di reati compiuti da minori), mentre da quello che si apprende dalla sua stessa biografia Graziano sconta la sua prima condanna in carcere con una reclusione di cinque anni, successivamente abbassati a tre.

Sia come sia la sua vita da uomo libero dura poco, in quanto nel 1960 viene arrestato nuovamente per aver esploso dei colpi di pistola nella piazza del paese. Portato in cella, Mesina sperimenta una delle sue più grandi passioni che lo accompagneranno per gli anni a venire: le evasioni.
Dopo aver forzato la serratura della camera di sicurezza della centrale dei carabinieri di Orgosolo (che non sarà stata Alcatraz ma pur sempre una cella) fugge sui monti circostanti per mesi, costituendosi solamente quando viene pregato in ginocchio dalla madre e dall’avvocato di famiglia. Viene così condannato ad altri sei mesi, da scontarsi questa volta nel carcere di Nuoro.

Nel luglio dello stesso anno viene rapito ed ucciso un commerciante di Berchidda (piccolo centro in provincia di Sassari), Pietrino Crasta. Il suo cadavere viene ritrovato grazie ad una lettera anonima indirizzata alla polizia che individua in alcuni terreni presi in affitto dai Mesina il luogo di sepoltura.
Non ci vuole esattamente un genio o chissà quale detective per capire che una lettera senza firma o l’essere proprietari del posto in cui viene rinvenuto un corpo non è la più solida delle prove accusatorie, ma in quegli anni, in quei luoghi ed in questo caso è sufficiente: tre dei fratelli di Graziano vengono arrestati insieme ad alcuni vicini di pascolo mentre Antonio, un quarto fratello, sfugge alla cattura e diventa latitante per riuscire a dimostrare l’estraneità ai fatti dell’intera famiglia.
Praticamente è il remake sardo a basso costo de ‘Il fuggitivo’.

“Ajò!”

Nel gennaio del ’61 Grazianeddu viene scarcerato dalla vicenda della sua prima evasione e per far vedere al mondo quanto ha voltato pagina rintraccia in un bar di Orgosolo Luigi Mereu, un parente degli accusatori dell’omicidio Crasta E GLI SPARA DAVANTI A TUTTI, ferendolo gravemente.
Stavolta il giudice è stufo di ritrovarselo davanti e lo condanna a sedici anni mentre lui continua a strepitare che “NON CI SONO PROVE!” (spoiler: ce ne sono) mentre i fratelli vengono rilasciati nel 1962 grazie al lavoro un po’ più oculato di Antonio.

Il nostro protagonista viene sbattuto in una cella del carcere di massima sicurezza di Badu ‘e Carros, alla periferia di Nuoro, venendo quasi subito spostato a Sassari per rispondere di una vecchia -e MERAVIGLIOSA diatriba con un ex vicino di pascolo:

“Come ogni sua mattina da uomo libero il Mesina si sta recando al pascolo dove lo aspetta il suo gregge quando si accorge di alcune tracce di sangue sul terreno, seguendole si ritrova davanti la sua adorata cagna pastore, Meruledda, accasciata al suolo col fianco aperto da dei colpi di fucile. Infuriato, porta il cadavere dal suo vicino per chiedere spiegazioni venendo dapprima accolto con la frase “mi dispiace, ma l’ho scambiata per una volpe” che dopo qualche minuto diventa “non mi devi rompere il cazzo, si era mangiata la mia uva!”.
Graziano tira allora fuori un coltellaccio, SQUARTA MERULEDDA PER VEDERE COSA HA IN PANCIA ed una volta appurato senza ombra di dubbio che il cane contiene solo viscere di cane si gira verso il vicino, massacrandolo di botte”.

Questa storia ci interessa per due ragioni:

1- Franco Trincale, noto cantante e cantastorie del periodo, gli dedica una canzone, facendolo conoscere al grande pubblico.

2- Durante il trasferimento per questo ennesimo processo salta ammanettato dal treno in corsa come nei migliori film western, ma stavolta viene riacciuffato da alcuni ferrovieri che se lo ritrovano davanti.

Il 6 settembre del 1962 riesce a farsi trasferire all’ospedale San Francesco di Nuoro fingendosi malato, qui riesce a scavalcare una finestra e a calarsi dentro un tubo di un cantiere vicino dove rimane nascosto PER TRE GIORNI SENZA MUOVERSI, prima di iniziare una latitanza che dura alcuni mesi.
Mentre Mesina si trova in mezzo ai monti, tutto concentrato a sfuggire alle forze dell’ordine e sopravvivere alla meglio, un suo fratello viene assassinato insieme a Salvatore Mattu, suo acerrimo nemico, ed entrambi vengono fatti ritrovare abbracciati nella stessa fossa in segno di spregio.
Appresa la notizia il nostro protagonista non vuol sentir ragioni, si procura un MITRAGLIATORE e scende in paese, dove ammazza Andrea Muscau, l’uomo ritenuto responsabile della morte del fratello.
L’unico problema, comune a molte vendette del genere, è che Muscau in realtà non c’entra niente.
Graziano viene catturato, condannato a ventiquattro anni di carcere e rinchiuso nuovamente a Nuoro.

Lo avrete ormai capito, il nostro non é tipo da accettare passivamente la detenzione. Fra trasferimenti, evasioni sventate per un soffio, altri trasferimenti ed altre evasioni Mesina vedrà in quegli anni praticamente tutte le carceri di massima sicurezza d’Italia, cominciando farsi un nome fra guardie, detenuti di spicco ed un’opinione pubblica popolare che comincia a leggere in lui la figura di ‘bandito romantico’.

Un Mesina più serio del solito.


11 settembre 1966
, carcere di san Sebastiano, Sassari: Graziano insieme al suo compagno di cella scalano SETTE METRI di muro perimetrale, fuggono fra le strade trafficate della città e riescono a prendere un taxi fino ad Ozieri, dove inizieranno una lunga e proficua carriera criminale.
Il suo complice non è un ladruncolo di polli, Miguel Alberto Asencio Prados Ponte (detto Miguel Atienza) è un disertore della legione straniera giunto in fuga dalla Corsica.
È giovane.
È forte.
È addestrato.

Ed è pure belloccio.

In quegli anni lo sbocco naturale alle capacità dei due pare essere ovvio, i sequestri. In un anno scarso mettono in piedi sette rapimenti e raggranellano un cospicuo tesoretto di riscatti, attirandosi addosso tutte le attenzioni di un reparto d’elite della polizia, i ‘baschi blu’, che si sono appositamente formati ed addestrati per contrastare il banditismo che imperversa in Italia in quegli anni.

Il reparto viene costituito prendendo uomini dal secondo reparto Celere di Padova. Cane compreso.

I baschi blu parlano poco e sparano molto, lo scopre a sue spese Atienza, che nel giugno del ’67 rimane ucciso in uno scontro a fuoco con degli agenti ad un posto di blocco (lasciando sul campo due agenti) mentre Mesina riesce miracolosamente a fuggire di nuovo, rimanendo nascosto per un altro anno ancora sulle montagne prima di essere catturato.

Per diverso tempo Graziano viene fatto trottare da una cella all’altra di ogni carcere conosciuto della penisola per evitare che prenda contatti e complici per l’ennesima fuga ma il pubblico si dimentica in fretta di questo calibro, lo Stato fa lo stesso.

Il 13 maggio del 1976 un fratello di Mesina, Nicola, viene assassinato da alcuni sicari mentre si sta recando a lavoro, i giudici (comprensibilmente) negano al nostro protagonista il permesso di presenziare al funerale dandogli però così un motivo in più per accettare l’offerta del leader dei NAP (Nuclei Armati Proletari), Martino Zichitella, di organizzare un’evasione di massa dal carcere di massima sicurezza di Lecce.


Il piano riesce, lo Stato fa un’altra figura barbina e si perde Grazianeddu per un altro anno, prima di pizzicarlo di nuovo, tutto concentrato nella seconda cosa che gli riesce meglio: organizzare sequestri.

Nel 1984 gli vengono concessi dei permessi premio per buona condotta, lui ringrazia tutti ma decide semplicemente di non rientrare da uno di essi per iniziare invece una settimana di sesso sfrenato con Valeria Fusè, una milanese fra le sue tante ammiratrici.

Nel 1992, mentre viene contattato direttamente da Indro Montanelli che si dimostra interessato dapprima a scrivere la sua biografia e successivamente a diventargli amico, viene rapito Farouk Kassam, un bambino di sette anni belga-canadese e figlio del gestore di un importante albergo di Porto Cervo.

E con un buon gusto in fatto di videogame.

Il sequestro Kassam diviene subito di interesse nazionale sia per la copertura mediatica, sia per l’età del bambino, sia perchè i rapitori fanno la più classica delle mosse per convincere la famiglia a pagare il riscatto: MANDANO IN UN PACCO UN PEZZO D’ORECCHIO DEL BAMBINO.

Pressati dai familiari, dai giornalisti e dall’Italia intera che si interessa al caso ma con pochissime piste da seguire, gli investigatori si giocano il jolly: Grazianeddu.

Gli vengono concessi diversi giorni di libertà per poter rintracciare il gruppo responsabile del sequestro grazie ai suoi agganci e mediare il pagamento di un riscatto pari a circa UN MILIARDO di lire, pagamento che i servizi segreti negano di aver mai fatto, ma com’è come non è Farouk torna a casa, tutta l’Italia esulta e Mesina viene fatto scarcerare a furor di popolo…per un po’.

Un Graziano un po’ invecchiato.

Nel 1993 vengono rinvenute nel suo podere di Asti delle ARMI DA GUERRA, di cui negherà il possesso insistendo per anni su un complotto -quantomeno probabile- di alcuni organi dell’apparato dello Stato che non possono digerire il vederlo tranquillamente in libertà con tutte le informazioni del sequestro Kassam.
Nel 2004, dopo QUARANTA anni di carcere, cinque da latitante ed undici agli arresti domiciliari viene ufficialmente graziato da Carlo Azeglio Ciampi e torna da uomo libero i quel di Orgosolo, dove si reiventa come guida turistica nei luoghi impervi e caratteristici del banditismo sardo che lo hanno visto protagonista.

“So dove portarvi!”

Nel 2013, all’età di settantuno anni, viene DI NUOVO arrestato (questa volta con fior fior di prove) perchè ritenuto a capo di una potente organizzazione dedita al traffico di droga, armi, furti e rapine, viene condannato ad ulteriori trent’anni di galera, che così a naso difficilmente vedrà scadere.

*sad trombone*

NOTA DI COLORE:
Nel 1968 Giangiacomo Feltrinelli (si quello delle librerie) va in Sardegna per prendere contatti con i piani alti della sinistra estrema e dell’indipendentismo isolano.

Giangiacomo dai bei baffi.

Nei piani dell’editore ex-partigiano -di cui parlerò magari un’altra volta- c’era da finanziare una RIVOLTA ARMATA sulla falsariga di quella cubana, facendo diventare l’isola mediterranea una roccaforte per tutti i comunisti europei aldiquà della cortina di ferro.
Il controllo delle truppe ribelli doveva essere affidato proprio a Mesina, in quel periodo latitante sulle montagne, che sarebbe stato trasformato in una sorta di Che Guevara nostrano, ma con più culurgiones.

Se non sapete cosa sono non sapete nemmeno cosa vi perdete.

Il piano salta per l’intromissione di alcuni agenti del SID (Servizio Informazioni e Difesa) che rintracciano Graziano sulle montragne e gli fanno capire che i servizi segreti potevano chiudere un occhio su un bandito in fuga, ma non su un probabile capo rivoluzionario comunista.

Considerando come sono andate in seguito le cose devono essere riusciti a fargli brutto.

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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