Carlo Fecia di Cossato

A volte le Personalità Buffe bisogna cercarle lontano, vuoi temporalmente e/o geograficamente. In altri casi sono molto più vicine di quel che crediamo, solo ne ignoriamo l’esistenza.
Per la storia di oggi non si devono fare migliaia di chilometri ma è una di quelle in cui bisogna tenere conto che: ‘essere un eroe è una cosa prettamente relativa’.
Specie se durante la seconda guerra mondiale non hai combattuto per gli Alleati.
Specie se gran parte della popolazione del tuo paese passa dall’osannarti al ripudiarti.
Specie se le tue medaglie arrivano dalle mani di Mussolini ed Hitler.

Tolto che si sta parlando pur sempre di uomini bravi ad uccidere altri uomini e tralasciando le motivazioni politiche che li hanno portati a farlo NON HO intenzione di parlare di giusto o sbagliato in questo frangente- si deve comunque dare atto che soldati capaci ce ne sono stati in tutti gli schieramenti coinvolti.
Quello che mi da personalmente fastidio è che gli sconfitti non vengano ricordati quasi da nessuno, di sicuro senza l’onore che alcuni di loro, anche solo in quanto grandi combattenti, meriterebbero.
Difficilmente leggerete storie di questo tenore su soldati del Terzo Reich, praticamente impossibile trovarne dal fronte del Duce senza scadere nella triste propaganda -andando contro la tanto vituperata legge Scelba sull’apologia di fascismo fra l’altro-.
Per la storia (soprattutto quella italiana) è tutto filato nel dimenticatoio sotto un velo di vergogna.
Forse un po’ troppo velocemente.
Forse senza avere il tempo di analizzare, o comunque senza dare elementi per ricordare (e senza ricordare è un sacco facile reiterare).
Forse facendo di tutta l’erba un fascio -ahah-.

Chiariamoci prima di iniziare però:
NON SI STAVA MEGLIO QVANDO C’ERA LVI!

 

Lvi


Carlo Fecia nasce nel 1908 a Roma dalla famiglia dei Cossato, nobili piemontesi e in quanto tali ferventi sostenitori della monarchia sabauda -più o meno come un vampiro sostiene l’AVIS-.
I parenti hanno già bene in mente cosa diventerà Carlo da grande e per i successivi vent’anni viene addestrato nei più prestigiosi collegi ed accademie militari.


Nel 1928 viene imbarcato come guardiamarina sul nuovissimo sommergibile di classe Vettor Pisani ‘Giovanni Bausan’. Qui ha modo di far gavetta sul campo e di innamorarsi di una vita fatta di spazi ristretti, siluri, immersioni ed inquietanti rumori sul sottile strato di metallo che ti separa dall’annegamento.

Nel 1929 viene promosso al rango di sottotenente di vascello e preso a bordo dell’esploratore ‘Libia’ di stanza in Cina; una nave originariamente realizzata per la Marina Turca e requisita nel 1912 dalla Regia Marina Sabauda allo scoppio della guerra libica -su cui ci sarebbe un mondo di cose da dire ma per non divagare troppo mi soffermo solo su Giulio Gavotti che effettua il primo bombardamento aereo della storia tirando granate a mano dal suo aeroplano-.
Per i successivi tre anni il ‘Libia’ insieme alle cannoniere ‘Caboto’ e ‘Carlotto’ furono tutta la Marina Italiana presente in acque cinesi a garantire una minima rappresentanza a sostegno di Tientsin (odierna Tianjin) che forse non tutti sanno essere stata una colonia italiana ottenuta dopo la rivolta dei Boxer, nel 1901.
La colonia era una striscia di terra lunga un chilometro e larga cinquecento metri con all’interno un villaggio scalchignato, una salina ed un cimitero paludoso sulla sponda del fiume Hai-Ho.
Per quarantadue anni fu suolo italico.
Quando Carlo arriva nel ’29 fa appena in tempo ad ambientarsi che il ‘Libia’ affonda un mercantile cinese sullo Yang Tze per via di una manovra errata. Per pura fortuna non ci sono morti ed il già provato governo della Zhōngguó dell’epoca decide di lasciar correre -oggi sospetto saremmo in una cacchina ben diversa-.
Nel 1932 la nave fa la sua ultima traversata verso Giappone, poi rientra in Italia assieme a tutto l’equipaggio per il disarmo.

Nel 1933 Fecia è ormai lanciato nella scalata ai ranghi; ottiene la qualifica di tenente di vascello e sale a bordo del ‘Bari’, un incrociatore leggero dalla storia militare lunga e variegata essendo appartenuto a russi e tedeschi per poi passare nelle mani dell’Italia come preda di guerra alla fine del primo conflitto mondiale.

-INIZIO DIVAGAZIONE-
Nel ’35 al nostro Benito impettito gli rode un sacco (ma un sacco) il fatto di non possedere delle colonie degne di questo nome.
Tutte le nazioni intorno lo scherzano facendo commenti sulla lunghezza del suo impero.
Lui da buon Duce non è tipo da mandar giù e si fa portare una mappa: “Possibile, perdio, che non ci sia rimasta ancora un po’ di terra libera in quel della grande Africa? Qualche negus a cui portar la civiltà a suon di manganelli nelle reni?”
Terra ‘libera’ (intesa come non già rivendicata da qualche altra nazione europea, perchè tanto delle popolazioni indigene se ne sono sempre fregati tutti) molto poca e non un granché rigogliosa, c’è da scegliere fra Etiopia e Liberia.
Si tira una moneta.
Esce Etiopia.
Si va tutti lì cantando faccetta nera:

Faccetta nera ringrazia eh, ma anche no.
Inizia la guerra d’Abissinia.
Una tra le guerre più codarde che abbiamo combattuto come nazione, portando all’altro mondo 275.000 uomini scarsamente equipaggiati ed addestrati principalmente tramite l’utilizzo di fosgene, cloropicrina, iprite, arsina e lewisite.
Tutte armi chimiche che non portano ad un bel trapasso e che quei simpaticissimi di Pietro Badoglio -che appare sempre non così simpatico a questo punto della storia- e Rodolfo Graziani -uno a cui i negus stavano così tanto sul gozzo da guadagnarsi il soprannome di ‘macellaio del Fezzan‘- non lesinano di usare per arrivare più rapidamente la vittoria.
Strano come le masse di fascisti che si riempiono così tanto la bocca di onore e gloria poi fanno ricorso a dei metodi che di onore e gloria non hanno nulla.
Oppure non é strano per niente.
A seconda di come la si guarda.
-FINE DIVAGAZIONE-

Per tutta la durata della campagna etiope il ‘Bari’ rimane in difesa del porto di Massaua.
Non che ci sia chissà quale pericolo dato che il nemico sta venendo gasato da tonnellate di proiettili di mortaio e che l’idea di un incrociatore che viene attaccato dalle piccole imbarcazioni in legno dei pescatori etiopi (chiamate sambuchi) fa quantomeno sorridere.
Ma noi siamo quel popolo lì.
Ci piace vincere facile -ponci ponci pò pò pò-.

Cossato però si stanca presto di stare alla fonda rigirandosi i pollici e quando nel ’37 si cercano volontari per delle missioni speciali nell’ambito della guerra civile spagnola, lui è tra i primi a proporsi.
Nel ’39 riesce a coronare il suo sogno, sale al rango di capitano di corvetta ed ottiene il titolo di comandante di sommergibile.
Finalmente un sottomarino tutto suo, con black jack e squillo di lusso.
Più realisticamente con marinai sudati e siluri esplosivi.
-Un bel titolo per un film porno-
Non farà in tempo a pensare a nulla di ciò.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale.
-Anche questo un bel titolo per un porno-

Il nostro eroe viene colto dalla famosa dichiarazione di guerra del Duce mentre è stanziato al porto di Trapani al comando del silurante ‘Ciro Menotti’; riconoscendosi nei tanto sbandierati “combattenti di terra, DI MARE e dell’aria” e obbedendo alle disposizioni dall’alto, parte per un pattugliamento offensivo nel tratto compreso fra Creta e Libia ma non incrocia nessuno nonostante la presenza numericamente importante di marina inglese nell’area.

Per riorganizzare più sensatamente le risorse dell’Asse il ‘Menotti’ viene inviato alla base navale Betasom costruita a Bordeaux.
Si era concordato che la strategia generale venisse decisa insieme alla Kriegsmarine lasciando però la responsabilità diretta delle singole imbarcazioni ai rispettivi comandi, questo perché Hitler ha una paura matta che l’unificazione possa portare in Africa Settentrionale la sua tanto amata aviazione sotto i diretti ordini italiani.
Meine Flugzeugen, meine Wahl!” (=aerei miei, decisioni mie!).
Carlo viene trasferito al comando del sommergibile oceanico di classe Calvi ‘Enrico Tazzoli’ ed è qui che le cose iniziano a farsi succose.


Appena messo piede in plancia squadra tutti i marinai e fa un discorso conciso: “Se qualcuno vuole sbarcare lo dica subito. Io intendo partire con gente pronta a tutto.
L’equipaggio è composto di soli volontari, il morale è alle stelle, le possibilità di morire malissimo pure.

Il 7 aprile 1941 mentre si trova al largo delle coste dell’Africa Occidentale, il ‘Tazzoli’ individua due incrociatori inglesi che viaggiano appaiati.
Il comandante dà l’ordine di cannoneggiarne uno e di immergersi in tutta fretta per evitare il contrattacco.
Quando quindici minuti dopo ritorna in superficie viene ritrovata solo un enorme macchia di nafta ed una singola sagoma in lontananza che fugge in tutta fretta.

Il 15 aprile il piroscafo da carico inglese ‘Aurillac’ ha la sfortuna di incrociare la rotta di Cossato.
Un primo siluro danneggia gravemente la nave, che resta in balia degli italiani che emergono per finirla in tutta calma con altre due torpedini.

Il 7 maggio seguendo una procedura ormai rodata affondano il piroscafo norvegese ‘Fernlane’, per poi mettersi all’inseguimento della petroliera ‘Alfred Olsen’ con cui viaggiava in formazione.
La ‘Olsen’ è un osso duro, ci vogliono due giorni di tira e molla, cinque siluri ed un centinaio di colpi d’artiglieria per farla colare a picco. Dopodiché a corto di munizioni si decide per il rientro alla Betasom.
Arrivati all’estuario della Gironda in navigazione di superficie devono sembrare un bersaglio facile al pilota di un aereoplano di passaggio, perchè decide di sganciargli addosso le sei bombe che si porta dietro. L’aviatore riconsidera la sua scelta quando le due mitragliatrici pesanti del ponte rispondono al fuoco e lui si ritrova improvvisamente a bordo di una carlinga infuocata.

Rientrato alla base per i rifornimenti, Cossato venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare e scambia informazioni con un altro asso dei sommergibilisti italiani, Gianfranco Gazzana Priaroggia, al comando della ‘Archimede’ prima e del ‘Leonardo da Vinci’ poi.
I due da buoni italiani caciaroni si mettono subito a fare a gara a chi affonda più nemici, il problema per gli Alleati è che sono entrambi parecchio bravi a farlo (per inciso vince il ‘Tazzoli’ per numero e il ‘Leonardo da Vinci’ per tonnellaggio).

Il 12 agosto il piroscafo inglese ‘Sangara’ ha appena tirato un enorme sospiro di sollievo per essere riuscito a sfuggire all’attacco di un U-boot che ha gravemente danneggiato la sua sala macchine.
Il peggio sembra passato e l’equipaggio si sente abbastanza sicuro da far rotta verso un porto amico, quando una singola scia a pelo d’acqua fa capire a tutti di essersi tranquillizzati troppo presto.
Carlo ha trovato sulla sua strada il ‘Sangara’ mentre era all’inseguimento della petroliera norvegese ‘Silgra’ che affonda una settimana dopo.
Di nuovo a secco di munizioni fa ritorno alla Betasom dove viene decorato con la medaglia di bronzo al valor militare e con la croce di ferro di seconda classe da parte dei nazisti che lo stanno prendendo parecchio in simpatia.

Nel dicembre del ’41 la Betasom vede partire un convoglio di tutti i sommergibili dell’Asse disponibili per una missione di salvataggio dei naufraghi della nave di rifornimento ‘Phyton’ che a sua volta era partita per il recupero dei superstiti di un altra famosissima nave corsara tedesca, la ‘Atlantis’.
Bisogna soccorrere i soccorritori ormai dispersi al largo delle Isole di Capo Verde il più rapidamente possibile.
Una volta individuati i naufraghi il ‘Tazzoli’ prende a bordo una settantina degli ex-membri della ‘Atlantis’ (tra cui il vicecomandante Ulrich Mohr, che riporta in seguito ai suoi superiori la grandissima disciplina che contraddistingue l’equipaggio italiano) e a pieno carico rivolge la prora verso Bordeaux.
La notte di Natale, mentre si trovano in navigazione di superficie forzata, vengono individuati da un aereo nemico e ne scaturisce un inseguimento adrenalinico con almeno altre tre navi Alleate chiamate di rinforzo. Il tutto si risolve solo dopo diverse manovre azzardatissime da parte del comandante italiano che riesce a liberarsi degli inseguitori quel tanto che basta per raggiungere la base tedesca a Saint-Nazaire e far sbarcare Mohr ed i suoi uomini.
Al ritorno alla Betasom Cossato venne accolto dall’ammiraglio Dönitz in persona che lo insignisce dell’importantissima Croce di ferro di prima classe.
Che se eri dalla parte del Fürher significava essere un eroe.


L’11 febbraio 1942 Fecia viene inviato in una missione atta a colpire il nuovo protagonista di questa guerra a tutto tondo, gli Stati Uniti.
Durante la traversata inanella una serie impressionante di affondamenti:

Astrea, piroscafo olandese.
Torsbergfjord, motonave norvegese.
Montevideo, piroscafo uruguaiano.
Daytoian, piroscafo inglese.
Athelqueen, petroliera inglese.
Cygney, piroscafo panamense.

Con quest’ultimo il nostro si comporta particolarmente da bulletto. Permette ai naufraghi di salire sulle scialuppe ed una volta appreso che la stampa americana era solita ironizzare sul coraggio e le capacità dei soldati italiani sale in torretta sventolando il tricolore ed urlando: “E adesso andate a raccontare agli americani che non è vero che gli italiani vengono fin qui ad affondar le navi!”.

Manca solo Seven Nation Army in sottofondo e l’equipaggio che canta ‘po popopo po po poo’.

Per non far diventare ridondante questo testo riassumo tutto l’anno successivo:
Il ‘Tazzoli’ affonda altre sei navi ed il suo comandante riceve una sfilza di medaglie via via più importanti che lo rendono una leggenda sia per il comando tedesco che per quello italiano.

Nel febbraio del 1943 Cossato viene promosso al rango di capitano di fregata e messo a capo della torpediniera (una nave cacciasommergibili per capirci) ‘Aliseo’.
Il ‘Tazzoli’ era ormai diventato obsoleto e per accordi con la Kriegsmarine viene disarmato ed adibito al trasporto di materiali strategici fra Europa e Giappone, in cambio la Regia Marina ottiene dei nuovissimi U-boot.
Apparentemente vincevano tutti.

Alla prima missione senza il suo comandante pluridecorato però il leggendario sottomarino viene subito individuato ed affondato con una mina di profondità sganciata dalla Royal Air Force.
Tutti i 70 uomini che per due anni erano divenuti la seconda famiglia del nostro eroe trovano la morte nelle acque al largo di Singapore.
Il fatto scuote profondamente Cossato ma non c’è tempo per i piagnistei, il dovere chiama! C’è ancora una guerra da vincere!

Solo che no, dall’8 settembre 1943 non c’è più una guerra da vincere, c’è solo una gran confusione.
Badoglio -ehi ve lo ricordate in Etiopia a spargere armi chimiche, sì?- sta diffondendo alla radio il proclama che sigla l’armistizio con cui il Regno d’Italia cessa le ostilità nei confronti degli Alleati.
Peccato solo per il piccolo particolare che mezzo paese è ancora pieno di truppe tedesche incazzate come api per ciò che recepiscono come tradimento -a cui onestamente non mi sento di dar torto, ma notoriamente se lo sarebbero dovuti aspettare data la nostra esperienza con i voltafaccia nelle alleanze durante le guerre-.
La ‘Aliseo’ è ancorata al porto di Bastia (in Corsica) insieme alla nave gemella ‘Ardito’ mentre viene annunciato che il Re se ne lava le mani dopo essersi rifugiato tra le braccia degli americani a Brindisi.

“Italienische Scheiße!”

La Wehrmacht in Corsica non la prende benissimo.
Dopo aver preso il controllo delle batterie d’artiglieria costiera iniziano a far fuoco sulle navi italiane.
La ‘Aliseo’ riesce miracolosamente ad uscire dal blocco navale, i problemi furono tutti per la ‘Ardito’.

Mettetevi nei panni di Carlo Fecia di Cossato:
Un uomo addestrato da tutta la vita a diventare un eroe.
Un uomo che da 15 anni di lavoro affonda navi.
Un uomo che ha appuntato al petto un esorbitante quantità di medaglie.
Un uomo fortemente legato al re e alla patria, ma prima di tutto ai suoi compagni d’arme.
Un uomo ancora distrutto dal dolore per aver perso in un colpo solo i settanta uomini migliori che abbia mai conosciuto…

“Indietro tutta, cazzo! Non lascerò gli uomini della Ardito a morirmi davanti! Scarichiamogli addosso tutto quello che abbiamo che qui o ci salviamo tutti o crepiamo insieme!”

A questo punto della storia potete esservi fatti da soli un idea del personaggio, di una cosa però dovete dargliene atto: aveva le palle.
Carlo carica a testa bassa una flotta composta da UNDICI imbarcazioni:
– 2x cacciasommergibili
– 6x motozattere
– 1× motonave della Luftwaffe
– 2x piroscafi armati

Mentre la ‘Ardito’ è bloccata per un colpo ricevuto alla sala macchine, la ‘Aliseo’ tiene occupato il fuoco di tutte le altre navi, affondando da sola una delle cacciasommergibili e dando il tempo ai compagni di riparare il danno sottocoperta.
Quando le due torpediniere iniziano a muoversi in coppia, supportate anche da un paio di batterie costiere riconquistate da un gruppo di artiglieri italiani che non vedono proprio di buon occhio che gli ammazzino davanti uno dei più grandi eroi della Marina Italiana, devastano completamente qualsiasi amante dei crauti poggiasse il culo su di un’imbarcazione.
Per questa azione Cossato viene insignito della Medaglia d’oro al valor militare.
L’unico caso registrato in cui si è conferita la massima decorazione militare per aver compiuto azioni contro obiettivi di due parti belligeranti contrapposte nel medesimo conflitto.

Per le settimane successive la ‘Aliseo’  fa la spola tra Malta ed i porti del sud Italia sotto diretto controllo Alleato, fornendo i suoi servizi come scorta e trasporto, ma i suoi occupanti notano anche (con sommo sconcerto di Fecia) quanto in molti casi le navi italiane vengano utilizzate come campi di concentramento galleggianti per i rispettivi equipaggi.
Quando in primavera si diffonde la notizia che, nonostante la cessazione delle ostilità, le navi italiane stanno per essere cedute alle potenze vincitrici, il nostro eroe sbrocca definitivamente ordinando alla propria squadra: «Se venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i vostri siluri e sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi stanno attorno, per rammentare agli angloamericani che gli impegni vanno rispettati; se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi.»

Quando nel 1944 si insedia il nuovo governo presieduto da Ivanoe Bonomi, si decide volutamente di non giurare fedeltà al Re.
Si adeguano velocissimamente a questa scelta un po’ tutte le cariche della Marina.
Cossato no.
Era arrivato al punto di non ritorno.

«No, signor ammiraglio, il nostro dovere è un altro. Io non riconosco come legittimo un governo che non ha prestato giuramento al Re. Pertanto non eseguirò gli ordini che mi vengono da questo governo. L’ordine è di uscire in mare domattina al comando della torpediniera “Aliseo”.
Ebbene la “Aliseo” non uscirà.»

Insubordinazione.
Il 22 giugno viene fatto sbarcare dalla torpediniera e posto agli arresti.
Il problema é che sostanzialmente in TUTTI gli equipaggi di ciò che restava della flotta italiana a cui arriva la notizia ci sono dei tumulti, anche gravi, di chi chiede l’immediato reintegro del nostro protagonista.
Per evitare un’insurrezione generale (che a questo punto è l’ultima cosa che la Marina desideri) Carlo venne liberato ma posto in licenza forzata per tre mesi.

Non potendo raggiungere la famiglia al nord, si ritrova ospite di un amico in quel di Napoli.
Qui vede cadere pezzo pezzo tutti i valori in cui per tutta la vita ha creduto e a cui ha dedicato tutto sè stesso.
La Monarchia.
La Patria.
La Marina.
Nulla più conta.

Tenta di avere un colloquio con il luogotenente di Umberto II di Savoia per poter discutere con lui i motivi della sua insubordinazione.
Non gliela concederanno mai.


Il 27 agosto viene ritrovato con la pistola fumante in mano, un buco in testa ed una lettera indirizzata alla madre:

«Da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace. Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.
Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo nella mia vita.

Da mesi e mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare.
Penso che il mio posto è con loro.»

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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