Josef Fritzl

Non sono una donna, non sono un padre, non ho sorelle.

La mia conoscenza del rapporto genitori/figlie non è nè di prima nè di seconda mano.

Altresì sono ALQUANTO sicuro che i video nelle categorie ‘Not my real father’ e ‘Incesto’ che si possono trovare (in numero straordinariamente elevato) su uno qualsiasi dei siti porno che affollano il web -e sulle cui homepage mi ritrovo a navigare ciclicamente DEL TUTTO CASUALMENTE E PER VIA DI UNA RICERCA SOCIALE CHE STO TENENDO PER UN AMICO!- non siano il modo corretto di crescere nel migliore dei modi una futura donna.

Dovete avere pazienza se tenterò di mantenere la mia solita ironia anche parlando di un fatto orribile come quello descritto nella storia di oggi.
È una forma di autodifesa.
I pangolini si arrotolano su sè stessi.
Io scrivo stronzate.
Potendo mi appallottorerei anche io.

L’Austria.

Un paese che ha donato al mondo alcune cose belle (lo spritz, la bistecca viennese, lo strudel di mele e Niki Lauda) insieme a delle vaccate abominevoli (Hitler, Jack Unterweger, il commissario Rex).

Il protagonista di oggi appartiene senza dubbio a quest’ultima categoria.

Il nove aprile 1935 Josef nasce ad Amstetten, un comune della Bassa Austria di circa ventriquattromila abitanti ricordato dalla storia (e da Wikipedia) principalmente per due cose: le tracce di insediamenti umani che si possono far risalire fino all’età della pietra e la presenza di due subcampi di concentramento (fra le centinaia sparsi nel Reich) ricollegabili al complesso di Mauthausen-Gusen, un luogo che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva delle valutazioni bassissime su TripAdvisor.

Trovo ironico il fatto che in NOVEMILANOVECENTOTRENTACINQUE anni il comportamento umano, a dispetto di tutte le teorie evolutive, sia rimasto sostanzialmente inalterato.

Il padre (Josef Senior, perchè ai tempi la fantasia nei nomi in famiglia era evidentemente ridotta) abbandona la famiglia nel ’39 per poi, come molti altri suoi coscritti, ritrovarsi arruolato nella Wehrmacht dove cinque anni dopo incorrerà in una non bellissima morte.

-Tendo a non fare generalizzazioni.

NON TUTTI i soldati della Germania erano dei pazzi assassini, di sicuro ce n’erano (e pure a frotte) ma alcuni prendevano le armi credendo di servire il loro paese (NON Hitler), altri lo facevano per fedeltà verso i compagni con cui erano sopravvissuti già a una guerra mondiale e altri ancora non avevano davvero una scelta, MA NON È QUESTO IL PUNTO DI OGGI!

È solo che non rinvenendo molte altre informazioni a riguardo vi invito a non immaginarvi Fritzl Senior come un gerarca nazista o un membro delle SS-.

Il nostro protagonista si ritrova a crescere da solo sotto lo sguardo vigile di una madre che evidentemente rivede in lui molto dell’uomo che l’ha sedotta e abbandonata, considerando che opta per educare il piccolo in un turbine di maltrattamenti e umiliazioni inframmezzati da un (non inconsueto in questi casi) fervore religioso.

Come si diventa adulti con dei prerequisiti del genere? Da quello che sto per raccontarvi evidentemente MALE. MOLTO MALE…


Completati i suoi studi in ingegneria elettrica -quindi concludendo scolasticamente molto di più di quel che sono arrivato a fare io- Fritzl ottiene quasi immediatamente un lavoro a Linz, dove incontra la diciassettenne Rosemarie che nel 1956 diventa sua moglie e che sfornerà negli anni una prole composta da due maschietti e cinque femminucce.

Ora: io non so che approccio voi possiate avere nei confronti delle relazioni interpersonali, ma per quel che mi riguarda se mai arriverò nella vita a volere SETTE figli -spero mai!- mi auguro di avere per loro e per la donna che ha deciso di scegliere il mio genoma come degno di essere tramandato (a dispetto di ogni valutazione oggettiva) un’opinione NETTAMENTE diversa da quella che Josef ha dei suoi cari.

Come testimonieranno in seguito conoscenti e amici della coppia: “I litigi fra i due coniugi erano frequentissimi. Fritzl considerava moglie e figli alla stregua di OGGETTI di sua proprietà e non esitava a aggredirli anche fisicamente, infischiandone di eventuali testimoni”.
Se vi state chiedendo: “Ma sti conoscenti e ‘amici’ non potevano far qualcosa?” e “Ma Rosemarie non poteva prendere i figli e scappare di casa?” la risposta che posso darvi è: “Sì, avrebbero potuto ma erano gli anni ’50 e se ancora oggi non è semplice denunciare delle violenze domestiche (i dati a riguardo ne sono una triste prova), immaginatevi a quei tempi, dove anche nei ‘civilissimi’ Stati Uniti prendere a schiaffi tua moglie perchè ti aveva fatto le patate al forno croccanti dentro e morbide fuori, era considerata una cosa quasi ok”.

Anni in cui i pubblicitari non avevano grossi limiti.

Menare sempre le stesse persone evidentemente dopo un po’ viene a noia e così nel 1967 Josef si ritrova a osservare per giorni la casa di una ventiquattrenne di Linz. Non appena suo marito si allontana per lavoro decide che FARE IRRUZIONE IN CASA E STUPRARLA PUNTANDOLE UN COLTELLO ALLA GOLA è un buon modo per fare conoscenza. Si becca diciotto mesi di carcere -una miseria se volete la mia opinione- e una volta fuori riprende a prendere a pugni la famiglia, che ringrazia sentitamente quando un impiego come venditore lo obbliga a stare lontano da casa per lunghi periodi.

Se meni i tuoi figli da tutta una vita cosa succede? Che loro non appena possibile se ne andranno di casa mandandoti affanculo.

Questo è ovviamente un bene per tutta la prole di Josef ma inizia a diventare un casino per la figlia più piccola, Elisabeth, che si ritrova a vivere da sola con una madre asservita e un padre con il pallino di infilarsi ciclicamente nel suo letto per stuprarla.
Nel 1982 una sedicenne Elisabeth decide che ne ha abbastanza di dover accogliere a forza tra le cosce quel porco di suo padre e opta per la fuga. Scappa a Vienna facendo perdere le sue tracce per un paio di settimane, prima di venire ritrovata da una pattuglia della polizia austriaca CHE NONOSTANTE LE SUPPLICHE LA RIPORTA A CASA SENZA NEMMENO FARSI VENIRE IL DUBBIO CHE LE STORIE DI ABUSI POSSANO ESSERE VERE, CONSIDERANDO ANCHE LA CONDANNA PER STUPRO DEL PADRE DEL ’67.

Grazie eh.

 

Nella mia scala di ‘pessime pattuglie di polizia’ la colloco appena sotto quella descritta nella storia del cannibale di Milwaukee.

Quando il 24 agosto del 1984 i coniugi Fritzl si recano alla centrale di polizia più vicina per denunciare la fuga della figlia, sventolando una lettera in cui l’ultimogenita scrive di essersi unita a una setta religiosa, i tutori della legge archiviano l’esposto nel faldone ‘allontanamento volontario’ e lì lo lasciano.

Solo che no.
Le cose non stanno così.
Le cose non stanno così PROPRIO PER UN CAZZO.

Qualche giorno prima della denuncia di scomparsa Elisabeth (legittimamente stufa di dover essere presa a forza dal padre) decide di mandare tutti affanculo e di denunciare alla polizia Josef (ex stupratore condannato, lo ricordo) per una seconda volta E PER UNA SECONDA VOLTA NON VIENE CREDUTA.

Bravi, complimenti, bis.

 

Sono mesi che Fritzl sta facendo dei lavori in cantina e quel giorno Elisabeth scopre il perchè. Quel malato mentale di suo padre ha creato UN CAZZO DI BUNKER SEGRETO con l’ingresso opportunamente celato dietro una serie di porte blindate e con una chiusura elettronica.

Stordisce la figlia con del cloroformio, la porta nel bunker, la ammanetta a una brandina e lì la lascia dopo averla costretta a scrivere la lettera da consegnare alla polizia.

I primi sei mesi sottoterra sono descritti da Elisabeth stessa con queste parole: “Luci spente, stupro, luci accese, muffa, umidità e lui che va via”.

Per i successivi VENTIQUATTRO ANNI Josef visita il bunker una volta ogni tre giorni per portare cibo, rifornimenti e naturalmente per perpetruare gli abusi.

Cosa avviene se stupri ciclicamente qualcuno e non hai nemmeno l’accortezza di usare delle protezioni? Quello che state immaginando.

Elisabeth rimane incinta SETTE volte e per SETTE volte darà alla luce I FIGLI DI SUO PADRE, senza alcuna assistenza medica.

Michael morirà nel 1996 appena dopo la nascita.
Lisa (1993), Monika (1994) e Alessandro (1997) vengono accolti dal padrenonno due piani più in alto che fingerà (grazie ad altre lettere farlocche) con autorità, amici, parenti e vicini che Elisabeth abbia lasciato i neonati in fasce sulla soglia di casa.

“Hai visto che madre degenere l’ultimogenita dei Fritzl? Mette al mondo dei figli e li abbandona ai suoi poveri vecchi genitori. Poveraccio quel Josef, come se non avesse abbastanza pensieri”.

Ecco, no.
DECISAMENTE no.

Kerstin, Stefan e Felix intanto vivono TUTTA LA LORO VITA SENZA MAI SAPERE COSA SIA LA LUCE DEL SOLE, insieme alla madre.

Il vecchio bastardo (che intanto è andato in pensione nel ’95) non ha minimamente timore di essere scoperto, anzi addirittura AFFITTA UNA CAMERA AL PIANO TERRA.
Per dodici anni l’inquilino lamenterà di sentire strani rumori dal piano interrato ma gli verrà sempre risposto che era colpa del vecchio impianto di riscaldamento.

Accade un’altra cosa quando condividi con il padre dei tuoi figli metà del tuo corredo genetico e li fai vivere tutta la vita in uno scantinato NON ISOLATO TERMICAMENTE, problemi di salute, a pacchi.

Accade così che il 19 aprile 2008 Kerstin, la primogenita ormai diciannovenne, si ammala gravemente e il padrenonno viene convinto dalle suppliche della sua ‘famiglia della cantina’ a trasportarla in ospedale.
I medici non sanno nulla della vita della ragazza (che intanto è andata in coma farmacologico) e non hanno idea dell’origine dei suoi disturbi, Josef dice molto di più di: “mia figlia è scappata nell’84 e mi ha fatto ritrovare sulla soglia di casa tre neonati e ora questa qui” così si decide per coinvolgere i media austriaci che optano per diramare un comunicato per cercare Elisabeth in pieno stile Chi l’ha Visto?.

Nel bunker è presente una tv, la madrefiglia capisce così che Kerstin è ancora in pericolo di vita e in qualche modo riesce a convincere Josef a farsi portare in ospedale insieme agli altri due figlifratellinipoti per poter aiutare la primogenita con un eventuale trapianto. Quando i medici si trovano davanti Elisabeth FINALMENTE qualcuno si accorge delle stranezze di tutta questa storia e si decide FINALMENTE -scusate ma mi tocca ripetermi- di allertare la polizia.

Elisabeth dopo ventiquattro anni può finalmente raccontare il suo incubo.

Le squadre speciali della polizia fanno irruzione nella cantina dei Fritzl e sono sconcertate nello scoprire che quanto raccontato fin qui è una storia vera e non una brutta creepypasta.


I media di tutto il mondo si buttano a pesce su questo fatto di cronaca e la faccia da cazzo di Josef diventa famosa in tutto il globo (anzi farà anche un tentativo per vendere una sua intervista a un noto tabloid inglese per la folle cifra di QUATTRO MILIONI DI EURO). Viene condannato il 19 marzo 2009 all’ergastolo per omicidio colposo, riduzione in schiavitù, sequestro di persona, stupro, coercizione e incesto. Questo nonostante la sua difesa si impronti sul fatto di ripetere “MA IO LA VEDO PIU’ COME UNA COMPAGNA CHE COME UNA FIGLIA! E POI VOGLIO BENE A TUTTI I MIEI FIGLINIPOTI!”

La perizia psichiatrica lo dichiara capace di intendere e di volere e da allora trascorre le sue giornate a Stift Garsten, un ex-monastero dell’Alta Austria trasformato in carcere.
Considerando che al momento della condanna aveva 74 anni e non ne vivrà 24 in un bunker venendo stuprato ogni settantadue ore, trovo la pena relativamente lieve.

In più ha un’ora d’aria al giorno, che è molto di più di ciò che ha concesso alle sue vittime.

Elisabeth insieme a tutti i suoi figlifratelli viene messa sotto protezione dalla polizia austriaca e da allora vivono in una località segreta dell’Alta Austria, lontani da fotografi e telecamere e molto vicini a stuoli di medici, psicologi e psicoterapeuti.

Il ruolo di Rosemarie non è mai stato chiarito del tutto, in molti hanno messo in dubbio che tutto questo delirio possa essere avvenuto sotto il suo stesso tetto senza che lei si fosse accorta di nulla. Tenendo conto però del fatto che è stata menata per più di cinquant’anni dall’uomo che è stato capace di tutto questo potrebbe anche essere.

Ora scusatemi, credo mi occorrano diversi bicchieri di qualcosa di forte.

Mi mancano un po’ le storie tenere e pucciose delle bombe guidate da piccioni.

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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