Path to glory hole – Pt.0

La locanda ‘Dall’Umano Corpulento‘ era quasi deserta e l’oste stava dietro il bancone a ripulire con poca convinzione una pila di stoviglie che sembravano aver passato tempi migliori, quando la porta si spalancò e un nano vestito di stoffe pregiate si fece strada fino agli sgabelli vuoti inerpicandosi su uno di essi.

“Cosa posso servirvi?”

Il nano si guardò attorno per un istante, giudicando che la scarsa clientela presente era troppo lontana, o troppo ubriaca, per costituire un vero problema: “Un boccale caldo di vino speziato freddo, con poca schiuma”.

L’oste guardò più intensamente il volto incipriato del nano “Con quanto zucchero?”

“Tre cucchiaini”

L’oste sparì per qualche minuto in una botola dietro al bancone, poi tornò con l’ordinazione richiesta.

E un biglietto legato sotto il boccale.

“Magione Ortensia, tra due ore. Chiedere del fiore magenta. 
In void with trust.

La magione Ortensia era una vecchia casa sugli scogli a picco sul mare della città di Anvilgrad. Una volta la signorile residenza di qualche nobile ormai decaduto, ora il mare e il sale stavano chiedendo un tributo di manutenzione che era evidentemente difficile da pagare per chiunque vi si fosse insediato.

Il nano incipriato arrivò sbuffando al portone e bussò con i pugni sul pesante legno incurvato, quasi allo scadere delle due ore indicate alla taverna.

Dall’interno risuonó quasi immediatamente una voce roca: “Chi siete? Cosa volete?”

“Lord Magister Vendimion, della casata Rosthrale, sono qui per un carico di fiori magenta”

La porta si spalancò quel tanto che bastava per intravedere le fattezze solcate di cicatrici di un elfo, che lo squadrava con il suo unico occhio buono: “Siete l’ultimo ad arrivare, lord Vendimion, gli altri sono già tutti dentro”.

“Sono venuto non appena appresa la notizia, ma di questi tempi non è semplice avere un motivo valido per muoversi per la città al riparo di occhi indiscreti, specie di notte.” il nano si abbassó con due dita il labbro inferiore mostrando il tatuaggio di una spirale, poi entrò nella casa.


Pasquale
urlò di piacere mentre sentiva le braccia affondare fino ai gomiti nel ventre dell’umana che aveva davanti. Pieno di fervore verso Khorne aveva lasciato cadere entrambe le sue armi e noncurante dei colpi delle guardie che arrivavano da tutte le direzioni si stava beando del massacro a mani nude.

Il fatto che la sua piccola squadra si fosse imbattuta in una colonna di esuli cenciosi significava poco, perché se c’era qualcosa che aveva capito nel corso degli anni in cui si era votato al Chaos era che la sofferenza è sempre bene accetta, da qualunque parte arrivasse. Sia che si trattasse di un grande guerriero in armatura completa o di un neonato che stava emettendo i suoi primi vagiti era la sofferenza (sia provata che provocata) il vero motore del mondo, era quella che sostentava le energie infinite del suo Dio e l’unica cosa che accomunava le vite di tutti, indipendentemente dalla forma che esse potevano avere.

Quando la donna ebbe i suoi ultimi spasmi lui si chinò a baciarla, rubandole il suo ultimo alito di vita, dopodichè fece forza sulle braccia possenti e spezzò il cadavere in due tronconi mulinando le ossa e la carne sulle guardie che lo stavano colpendo incessantemente, ma che lui a malapena sentiva.

A massacro terminato uno dei capisquadra dei suoi barbari entrò nella tenda che avevano eretto al centro della radura, una tenda a cui avevano legato con delle grosse corde tutti i devoti al dio del massacro che non avrebbero più potuto combattere insieme ai prigionieri che non erano stati abbastanza fortunati da morire in battaglia.

Le corde passavano direttamente nelle viscere dei malcapitati creando una melodiosa cacofonia di suppliche e lamenti.

“Quali notizie porti Makca?”

Era una domanda retorica, Pasquale aveva personalmente fatto strappare la lingua al guerriero non appena lo aveva accolto nella sua banda.

Makca si chinò in terra e disegnò solo una spirale.

Tanto bastava.

Jiji era seduto sul suo trono fatto in egual misura di corpi congelati e gioielli di straordinaria fattura, il tutto tenuto insieme da uno strato di ghiaccio che rinsaldava insieme i volti terrorizzati di una straordinaria varietà di razze e che donava al tutto l’insieme una bellezza grottesca.

“IO NON CREDE CHE TU HAI CAPITO DOVE TU STAI”

“L’ho compreso fin troppo bene, lord Jiji, il fatto è che sarebbe il momento che anche lei capisse cosa la congregazione le sta chiedendo” a parlare era un umano vestito di stracci che stava incredibilmente davanti al capoclan senza tremare, nè per il freddo pungente (amplificato dalla magia naturale che seguiva gli ogre ovunque andassero), nè per lo spettacolo raccapricciante del banchetto che si stava svolgendo a pochi passi da loro.

Un banchetto fatto di portate che di quando in quando ancora imploravano pietà.

“IL TUO GRUPPO VUOLE CHE MIO POPOLO SI SPINGE VERSO TERRE CALDE PER SUOI BISOGNI, MA JIJI HA TUTTO QUELLO CHE VUOLE NELLE MONTAGNE. JIJI HA ORO E JIJI HA CIBO. TUO ‘VUOTO’ COSA HA DA OFFRIRE?”

“Il Vuoto può offrire molte cose, mio lord. Una delle quali è la tua morte.”

“AHAHAHAHA TU PICCOLO UOMO MINACCI ME GRANDE JIJI? TU VUOLE CHE TUA TESTA IO SGRANOCCHIO PER DOLCE?”

L’uomo sorrise sinceramente divertito “Mio lord, lei mi ha già divorato duecentosessantraquattro volte, negli ultimi sette mesi, non ha capito quanto addentare le mie carni possa essere inutile? In più questa volta è stato il Vuoto in persona a ordinare la marcia verso sud, stavolta mi ritrovo costretto a esortarla vivamente a seguire le istruzioni”

“MAGARI JIJI MANGIA TE PER – il grosso ogre contò più volte con le dita per tentare di ricordarsi quante volte avevano già avuto discussioni simili – UNA ALTRA VOLTA E POI UNA ALTRA ANCORA!” così dicendo mosse le sue grosse braccia verso l’umano, ma lui semplicemente si calò il cappuccio e la grossa spirale marchiata a fuoco sul suo volto parve muoversi di vita propria.

“NOOOOOOOOOOOO! JIJI SCHERZAVA! SCHERZAVA! JIJI VA A SUD!”

Qualche ora dopo il terreno rimbombava sotto i pesanti passi del clan.


Mortarion stava osservando dall’alto della collina il piccolo gruppo di servi di Sigmar che avanzava fra le fila della carne da cannone che gli aveva mandato contro. I martelli vorticavano fra lampi di luce e rombi di tuono spargendo a destra e a manca la miserevole massa di barbari che stava combattendo disordinatamente.

“Mio signore, la battaglia ormai è persa”

L’enorme massa di metallo nero che era Mortarion non distolse nemmeno lo sguardo dal campo di battaglia, la voce del ‘capoclan’ che gli stava parlando era estremamente lontana per lui.

“Mio signore ordini la ritirata, presto! Dobbiamo riorganizzarci! Non possiamo nulla contro un gruppo di Stormcast! Dobbiamo…” il capoclan smise di parlare quando la manticora fece scattare la coda come una frusta, decapitandolo.
Mortarion stava ancora fissando lo scontro sotto di lui mentre i sigmariti avanzavano come una lancia di luce in mezzo alle schiere ormai devastate. Sembrava ormai che ben poco potesse cambiare le sorti della battaglia.

Alzò solo un braccio.

Augustin Evergrace era rinato nella luce di Sigmar troppe volte per poterle veramente contare. Moltissimo tempo fa aveva resistito con la sua piccola guarnigione a un lungo assedio di soverchianti forze Chaos ed era stato l’ultimo dei suoi a cadere in nome della gloria del dio-re, mentre si sacrificava per coprire la ritirata dei civili.
Ora era una macchina della giustizia e i suoi colpi sbriciolavano le ossa degli impuri come se fossero stati niente più che insetti. Nulla poteva fermare…

Mortarion piombò sui sigmariti dall’alto, atterrando con uno schianto direttamente sulla testa di quello che sembrava il capo con un tremendo rumore di metallo. Il corpo del fu Augustin letteralmente esplose dentro la sua armatura ma il resto della squadra era già piombato su di lui preparando i martelli. Grimlocke, la sua manticora li respinse indietro soffiando e riuscì a strappare lo scudo, insieme al braccio di uno degli attaccanti mentre i sigmariti tentavano di riprendere la formazione.

Il guerriero del Chaos si alzò in piedi, sorreggendosi alla sua lunga falce. Doveva avere entrambe le gambe spezzate ma non era un grosso problema. Non finchè poteva poteva contare sulla sua rabbia.

Uno dei sigmariti gli piombò alle spalle emettendo una scarica tonante direttamente sul suo elmo che volò qualche metro indietro. Prima di venire sollevat dalla punta della falce ed esalava i suoi ultimi respiri osservando le terrificanti fattezze di quello che ora era esposto alla luce.

“MiHaIfAtTToQuAsImALE.”

Gli emissari dell’ordine stavano recuperando la formazione ricacciando indietro con gli scudi la manticora e formando una falange intorno a Mortarion, ma lui si limitò a sibilare una specie di fischio, gettando in mezzo a loro il guerriero agonizzante “OraE’ILmIoTuRNO!”

Il rumore degli zoccoli dei grossi cavalli corazzati era stato coperto fino a quel momento da uno dei trucchetti magici più elementari di tutti, e la squadra di Stormcast venne letteralmente spazzata via in una purea sanguinolenta da una carica alle spalle mentre il capo guerriero risaliva in sella a Grimlocke facendola alzare in quota, dopo aver ordinato con un altro gesto al capo dei suoi cavalieri di inseguire e massacrare ogni barbaro che si era dato alla fuga.

In lontananza un bagliore attirò la sua attenzione. Sbattè le palpebre e nei suoi occhi vitrei si formò una spirale infuocata che sostituì le sue pupille per qualche minuto.

Sapeva bene cosa significava.


La cattedrale sottomarina era piena di deepkin che stavano assistendo a un turbinio di enormi murene intorno a quello che sembrava un palco incastonato nel corallo e al centro di esso stava uno di loro completamente nudo che stava conducendo le creature come un direttore d’orchestra fa con i suoi strumenti. Le forme che il banco assumeva erano le più svariate ma per un esponente di quella razza avevano un significato inequivocabile e preciso: la vigilia di una spedizione sulla terraferma.

A uno a uno i capisquadra designati dal gran consiglio si susseguirono sul palco, in religioso silenzio, e gli occhi vitrei dei guerrieri schierati a malapena sbattevano quando gli veniva comunicata mentalmente la loro guarnigione.

Poi fu il turno di Adolfo.

Contravvenendo all’etichetta il capo deepkin scese muovendosi aggraziato fra i suoi guerrieri e aprì con ognuno di loro un canale telepatico, condividendo le varie emozioni che gli stavano montando dentro. Onore per il ruolo che gli veniva affidato, la forza di portare a termine il loro sacro compito ma anche una determinazione profonda come gli abissi e, molto più inusuale, donò loro una stilla della propria forza vitale. Il massimo segno di fiducia.

I guerrieri erano stupiti del comportamento del loro nuovo capitano, ma tutti si batterono il petto tenendo alti i tridenti, decisi a seguire i suoi ordini finanche alle terre più asciutte e infuocate.

Quando la cerimonia terminò la grande cattedrale si svuotò poco per volta e mentre le varie squadre partivano per i loro settori di competenza un messo del gran consiglio si avvicinò ad Adolfo portando con sè uno scrigno.

All’interno c’era una singola conchiglia, intagliata con una spirale dorata.


Il settecentododicesimo settore della città Skaven era pericolosamente vicino allo Strapiombo Infinito, ma era anche il posto più indicato per l’Osservatorio delle leyline di Warp che potevano dire alle masse brulicanti dove dirigersi prevedendo con mesi di anticipo le anomalie gravitazionali che avrebbero poi attirato sui vari piani le masse di warpietra. L’osservatorio era una struttura inconsueta anche per gli standard skaven, costruita per metà da pericolanti impalcature di legno che sembrava in procinto di sfaldarsi da un momento all’altro e per l’altra metà da macchinari avanzatissimi che rilucevano di una malsana luce verde, tipica della loro caratteristica fonte di energia.

“Le letture non hanno senso, Boss”

“Questo è perchè sei stupido come uno snotling e la tua nidiata deve essere una di quelle nate per ultime ai tempi della Grande Carestia, scostati e fammi vedere.” a parlare era uno degli uomini ratto più pelosi della stanza, non era il più grosso nè tantomeno il più minaccioso, ma dal tono era il più importante. Forse solo per il pelo. “Per il grande Ratto Cornuto! Hai già ricontrollato gli optometri?”

“Quattro volte Boss, le letture sono sempre le stesse.”

Su quello che poteva essere una specie di schermo erano visibili sei punti luminescenti a intermittenza, sparsi per tutta la conformazione delle terre superiori, settecentotredici settori più in alto: “Il rapporto di intensità corrisposto alla massa è straordinariamente elevato. Ma questa conformazione…il consiglio deve esserne informato subito. Vai a suonare la campana, presto!”

“Ma Boss ne è sicuro? La Campana dell’Apocalisse?”

Il ratto più giovane si prese una botta in testa dal lungo bastone puntuto “Vi ho già detto di non chiamarla così! Ora sbrigati, o vuoi raccontare personalmente ai Grandi Capi che ci siamo fatti scappare una conformazione a spirale e Sigillo di Salomone PERCHE’ TU SEI STATO TROPPO LENTO A SUONARE UNA MALEDETTA CAMPANA?”

Pochi minuti dopo i rintocchi concitati fecero brulicare una grande quantità di zampette pelose per tutti i vari settori, verso l’alto.

Mezzo osservatorio collassò su sè stesso al settimo rintocco, ma quello si poteva ricostruire e i morti sostituire.

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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