Hiroo Onoda

Il Giappone! Uno splendido paese con una cultura magnifica sotto parecchi punti di vista e meno per altri.
Un esempio di questi ultimi è la repressione in pubblico di alcuni fra i sentimenti più umani che si possano provare oppure la schiacciante pressione sociale che non risparmia nessuno in nessuna fascia d’età. Tutte cose che unite insieme hanno portato a sfornare un enorme quantità di pornografi sniffamutandine tentacolari che fanno tanto tanto Japan.

Tipo.

Ritengo che parte del fascino che esercita su molti di noi occidentali la terra nipponica derivi dai due secoli (1641-1853) di Sakoku, l’isolazionismo estremo voluto dai Tokugawa che portò da un lato uno dei periodi di pace più lunghi della storia del paese con conseguente enorme sviluppo indipendente da influenze esterne della cultura giapponese e dall’altro che per lo stesso motivo soffrì poi di un’assenza di modernizzazione che facilitò in seguito le ingerenze di tutte le nazioni straniere con cui aveva tentato con forza di avere meno contatti possibili.
Ma questa, come si suol dire, è un altra storia. A noi interessa la cultura.


Un aspetto caratteristico, forse tra i più conosciuti (ma meno compresi fino in fondo) è quello del Bushido: la ‘via del guerriero’. In ogni cultura vi è un codice di morale, fa parte del nostro vivere organizzati in una società ed è ciò che -purtroppo- mi impedisce di strangolare chi gira per strada bullandosi della propria stupidità.
Il Mos Maiorum romano, la cavalleria medioevale, la carità cristiana, sono tutti esempi più comprensibili a noi europei. Nessuno di essi spiega davvero quello di cui tratta il codice dei guerrieri giapponesi perchè sono presenti aspetti che ci risultano profondamente alieni.
Il succo è che il Bushido, con sette e più secoli di sviluppo ininterrotto sulle spalle, è talmente radicato nella cultura nipponica che ha portato nella storia (anche recente) allo sviluppo di avvenimenti che a noi paiono strani e incomprensibili, financo stupidi sotto una certa luce, ma rimangono straordinari sotto un’ottica che esalta allo sfinimento virtù come obbedienza, fedeltà, onore e sacrificio.
Tipo le storie sui ‘soldati fantasma’ giapponesi…


1944:
la seconda guerra mondiale impazza ormai da cinque anni un po’ dappertutto rimanendo in testa alla hit parade delle cagate più grosse mai compiute dall’umanità.
Mentre in Germania quel baffetto buffetto di Hitler sta cominciando a chiedersi se non sarebbe stato meglio continuare a fare quadri di merda nella vita (dato lo sbarco alleato in Normandia, l’avanzata sovietica a oriente e la bomba che in luglio gli è quasi esplosa sotto il culo -dell’‘operazione Valchiria’ magari ne parlo un’altra volta-), dall’altra parte del globo le forze dell’Asse non se la stanno passando molto meglio.

Il traffico mercantile nipponico è gravemente compromesso dalla quantità di navi alleate in azione nel Pacifico e la quasi totale assenza di unità antisommergibile rende la vita dei sottomarini americani una pacchia. Spronato da ciò, l’alto comando statunitense decide in una doppia avanzata frontale con l’obiettivo di raggiungere al più presto possibile il Giappone e spostare il conflitto a casa del nemico.
Pur perdendo terreno, il primo ministro Hideki Tojo da buon samurai non si scompone ed ordina invece una riorganizzazione delle risorse per mandare da una parte rinforzi alle guarnigioni rimaste isolate nel Pacifico e dall’altra per organizzare un avanzata nella Cina meridionale ed evitare di ritrovarsi così a tiro dei bombardieri B-29.

La situazione, ben descritta dalla propaganda statunitense.

 

Tojo.

In questo contesto il nostro Hiroo Onoda ha appena terminato il suo addestrindottinamento nell’accademia di Nakano per diventare un ufficiale comandante nella Futamata Bunko, sostanzialmente un distaccamento di truppe speciali che si sarebbe dovuto spargere nei vari avamposti e aveva come obiettivo principale quello di organizzare una guerriglia serrata per rallentare in ogni modo l’avanzata del nemico.

Onoda, fresco d’accademia.

Il nostro soldatino coraggioso arriva a Lubang, una delle dozzine di isole filippine occupate ed una tra le dozzine sotto organico per essere decentemente difesa. Facendo quel che può con quel che ha (pochi uomini e ancor meno mezzi) riesce, abbastanza straordinariamente, a creare una difesa in grado di reggere anche ad un assalto di medie proporzioni ma purtroppo per lui l’anno successivo vede nel settore un’avanzata alleata di larga scala:
cannoneggiamento dalle navi sulle spiagge, ulteriore bombardamento aereo pesante (atto a ridurre in briciole ogni residua difesa) e invio successivo di una soverchiante quantità di truppe di terra che ha l’unico compito di uccidere qualsiasi cosa che anche solo somiglia ad un soldato giapponese -i civili filippini l’hanno ben compreso e quindi girano con le palpebre più spalancate possibile-.


La guarnigione nipponica viene letteralmente massacrata e sopravvivono in quattro, tra cui il nostro Onoda correndo a riorganizzarsi nella giungla sulle montagne, perdendo ogni contatto col comando centrale.

Intanto la guerra finisce.

Va detto che sarebbe potuta finire anche prima, ma l’imperatore Hirohito (sempre per la storia dell’onore), rifiutava di raffrontarsi con la realtà pensando di poter ancora vincere, o quantomeno (qui a ragione) di far pagare un prezzo altissimo a chiunque avesse provato a invadere il paese via terra.
Questo fino a che tutto il mondo vede quanto è grosso il cazzo dell’America.
Fino ai sessantamila morti in un solo attacco, in grado di spazzare via una città intera in un attimo.
Fino ai funghi nucleari.
Inghiottendo a fatica il rospo, il 15 agosto 1945 viene firmata la resa incodizionata del Giappone.

Vedendo la distruzione a Hiroshima non c’era davvero una scelta.

Nel frattempo a Lubang, sotto il comando di Onoda, i pochi superstiti della guarnigione iniziano a fare l’unica cosa per cui sono stati addestrati, la guerriglia.
PER ANNI mettono ordigni improvvisati su strade e risaie, cercando di fare il possibile per tagliare le linee di comunicazione e di approvigionamento di quello che credono il nemico e rubano il necessario per la loro sopravvivenza, rimanendo nascosti nella fitta giungla filippina e continuando a combattere in nome dell’imperatore, considerando i proclami sulla vittoria alleata come mera propaganda nemica.
Poi nel ’49 qualcosa cambia.

Yuichi Akatsu
è un attimino stufo di dover vivere come un animale, di dover essere ogni giorno braccato da gruppi di contadini isterici e di combattere per un ideologia che in tutti questi anni gli è crollata davanti un pezzo dopo l’altro. Un giorno, semplicemente, va nel villaggio più vicino e si arrende.
QUATTRO ANNI dopo la fine ufficiale delle ostilità.
Racconta la storia sua e dei suoi commilitoni (che intanto hanno registrato il suo gesto come codardia e proseguono indefessi nella lotta) e le autorità, stupite, decidono per tentare di convincerli di far paracadutare copie di pubblicazioni giornalistiche degli ultimi anni, foto delle loro famiglie lasciate in Giappone e lettere che li supplicano di tornare in patria.

“Tsè! Questi cani occidentali credono di fregarci con mezzucci del genere!
Evidentemente la nostra lotta sta riuscendo più di quanto credevamo se si sono presi il disturbo di fare tutte queste finte lettere per cercare di convicerci, continuiamo a combattere, miei fratelli, l’imperatore sarà fiero di noi!”

La guerra, per i tre rimasti, continua.

“E veniteci a prendere!”

Gli anni passano, la popolazione dell’isola però è stufa di rischiare di incorrere continuamente in ordigni improvvisati, agguati e rapine.
Si organizzano battute di caccia nella giungla ma nessuno trova nulla, se non diverse trappole (l’essenza stessa della guerriglia, come anni dopo il Vietnam insegnerà agli americani).
Col tempo feriti e morti si accumulano, ma nel 1954 Shoichi Shimada viene colpito durante un conflitto a fuoco con una pattuglia di polizia filippina.
Restano in due.
Kozuka Kinshichi fa la stessa fine nel 1972, VENTISETTE ANNI dopo la fine della guerra.

Shoichi Shimada.
Kozuka Kinshichi.


Il tenente Onoda è rimasto da solo e giura che porterà con sé quanti più nemici possibile prima della fine.

In patria, nel frattempo, nonostante Hiroo sia stato dichiarato ufficialmente deceduto, le storie di Akatsu convincono la famiglia a mobilitarsi e sono compiuti diversi tentativi sia dal padre che dalla sorella per provare a rintracciarlo e convincerlo che ormai è tutto finito.
L’unico a scovarlo però è Norio Suzuki, un giornalista nipponico che lo incontra dopo quattro giorni di ricerca estenuante e facendo leva sulla sua solitudine riesce a parlargli e scattargli delle fotografie.

“This hippie boy Suzuki came to the island to listen to the feelings of a Japanese soldier. He asked me why I wouldn’t come out. I said that if the war was over and i received an order telling me to stop fighting I would come out.”

Tornato in patria, Suzuki ribalta il Giappone e rintraccia il diretto superiore di Onoda, il maggiore Taniguchi e lo prega di recarsi a Lubang poiché è l’unico uomo al mondo che può porre fine a questa follia.

Ora, se avete visto Rambo (che da questa storia ha preso più di qualcosina) avete ben presente la scena di un soldato che, in lacrime, incontra il suo superiore in uniforme e lo abbraccia chiedendogli se è davvero tutto finito…

Hiroo Onoda si arrende ufficialmente alle autorità filippine, dopo VENTINOVE anni di guerriglia dalla fine del conflitto mondiale, sette mesi prima dell’ultimo ‘soldato fantasma’ giapponese della storia, Teruo Nakamura, con una storia molto simile, a Taiwan.

Il nostro tenente viene rimpatriato con tutti gli onori ma a differenza di Nakamura che ha fatto una fine molto più anonima e triste, viene accolto come nel ’72 fecero con Shoici Yokoi, altro ‘soldato fantasma’ che divenne famoso per aver detto all’imperatore “mi vergogno molto di essere ritornato da voi, vivo”.


Come Yokoi, nemmeno Onoda riuscì a riabituarsi alla vita civile in una patria radicalmente cambiata. Emigrò in Brasile restando per anni in Sudamerica, mettendo su famiglia e tornando in Giappone solo in tempi recenti.
Il suo ultimo periodo lo trascorre a Tokio e dimostrando una discreta longevità (per uno che a trascorso quasi trent’anni vivendo in una giungla) muore 92enne a Tokio.

Per lo stesso discorso fatto all’inizio, quando si parlava del bushido, la storia della sua vita può essere straordinariamente eroica sotto una luce o straordinariamente stupida, sotto un altra.
Valutatevelo da soli.

Hiroo era dotato anche di un talento nella scrittura non indifferente -un talento che al giorno d’oggi serve abbastanza a poco se non sai stare entro i 140 caratteri di Twitter, se non scrivi per uno Youtuber o se non fai vedere le tette- ed ha pubblicato un libro sulla sua storia ‘No Surrender: My Thirty-Year War’ (in italiano ‘Io non mi arrendo’) che negli anni ’80 diviene un bestseller a livello mondiale.


Sono anni che cerco di recuperarne una copia, ma si vede che conosco solo librai sbagliati.

 

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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