James Otto Richardson

“Dei se e dei ma son piene le fosse!” vale a dire -come mi ha spiegato tempo addietro a ceffoni quella santa di mia nonna- che son tutti bravi a posteriori a fare ipotesi ed obiezioni.

Non è il caso di oggi, in cui le problematiche sono state indicate ben prima che si verificasse l’avvenimento in questione, che poi ignorare gli avvertimenti abbia dato vita ad uno dei più grandi ‘te l’avevo detto’ della storia è la parte divertente.

-divagazione attinente quel tanto che basta per sentirmi felice-

Adoro le ucronìe.
Il termine (derivante dal greco οὐ = ‘non’ e χρόνος = ‘tempo’) è associato per analogia a utopia (‘nessun luogo’), indicando una narrazione di quel che sarebbe successo se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente.
La Germania nazista che domina il pianeta?
Ucronìa.
Hitler che viene ammesso all’accademia di belle arti diventando un anonimo pittore invece di un discreto dittatore?
Ucronìa.
I vichinghi che stringono alleanza con i pellerossa arrivando a dominare gli Stati Uniti odierni semplicemente non commerciando latte al loro primo incontro i nativi erano intolleranti ed il dono causò un’epidemia di caghetta che venne scambiata per un tentativo di avvelenamento-?
Ucronìa.
Cristoforo Colombo che affonda con le sue caravelle in mezzo all’oceano?
Ci siamo capiti.

Ucronie.

Trovo questo metodo di racconto affascinante perchè tolte tutte le divagazioni fantascientifiche sui viaggi temporali (e relativi effetti farfalla) permette di aprire finestre ipotetiche su mondi che non ci saranno mai -affermazione che cozza con la teoria del multiverso- e con versioni della storia dominate da società utopiche o distopiche, a seconda della mentalità con cui le si approccia.

Prendiamo Pearl Harbour.
Quante realtà si schiudono se si considera come sarebbero potute andare le cose con l’imperatore Hirohito che si ‘accontenta’ di un espansionismo circoscritto alla Cina, tralasciando l’Indocina e interessandosi solo in seguito al Pacifico.

Ma andiamo con ordine…

5 ottobre 1937: Franklin Delano Roosevelt, trentaduesimo presidente degli Stati Uniti -ottant’anni prima che il titolo rimandasse a manine minuscole e toupet imbarazzanti- pronuncia davanti ad una platea riunita a Chicago il ‘Discorso della Quarantena’, in cui indica come sia necessario agire concretamente nei riguardi delle nazioni responsabili di guerre ed illegalità internazionali per isolarle dai paesi pacifici ed evitare così il diffondersi del “morbo della violenza, dell’aggressione e della sopraffazione” -una descrizione che ben si accompagnerà in seguito alla politica estera americana, ma soprassediamo-.

Per la prima volta vengono biasimate pubblicamente Italia, Germania e Giappone (pur senza mai farne i nomi apertamente) colpevoli di aver messo in piedi un sistema espansionistico violento, militare ed aggressivo.

Queste parole hanno un duplice effetto:
da un lato infervorano i promotori delle correnti isolazionistiche americane che predicano la ferma necessità di mantenere un’assoluta neutralità nei riguardi dei problemi europei.
dall’altro innervosiscono soprattutto il Giappone, che giustifica la sua invasione della Manciuria paragonandola alla conquista del vecchio West e si erge a difensore dei popoli asiatici contro il colonialismo dei bianchi.

Il 12 dicembre dello stesso anno si verifica quella che viene considerata la vera risposta al discorso di Roosevelt: dodici aerei nipponici affondano la cannoniera USS Panay ancorata al largo di Nanchino.
Il Giappone si scuserà (poco convincentemente) in seguito asserendo di aver scambiato la Panay per una nave cinese, ma i tre marinai a fondo delle acque dello Yangtze non sono più in grado di scusare nessuno.

USS Panay.

Col passare del tempo i rapporti fra le due nazioni diventano sempre più tesi, con da una parte gli Stati Uniti che pur rifornendo di armi i patrioti cinesi, promuovendo embarghi contro il Sol Levante e rafforzando la Royal Navy nell’Atlantico non sono ancora disposti a schierarsi apertamente e dall’altra un Giappone che in cerca di alleati il 27 dicembre 1940 firma il ‘Patto Tripartito’ con le potenze dell’Asse per suddividersi a guerra finita le varie zone del mondo, implicando fra le altre cose il darsi manforte a vicenda in caso di difesa e (ben più rilevante per la situazione politica) di offesa.

-FRATTANTO IL NOSTRO EROE-

James Otto Richardson nasce a Paris, in Texas, nel 1878 e non appena l’età glielo permette si getta a capofitto in una brillante carriera militare che lo porta a diplomarsi come cadetto alla Naval Academy del Maryland (classe 1902) per poi scalare i ranghi sotto la bandiera della Flotta Asiatica (il gruppo di navi da guerra statunitensi che staziona ad est del continente più grande del mondo sin dal 1868).
Si fa le ossa in combattimento durante la repressione dell’insurrezione della repubblica di Tagalog che porta in tutte le Filippine, oltre ai ventimila morti combattenti, trentaquattromila morti civili diretti e DUECENTOMILA derivanti dall’epidemia di colera che si scatena in seguito.

“Sparate a quel colera!”

Dal giugno del 1939 viene posto al comando sia della flotta da combattimento USA di stanza nel Pacifico che di quella d’osservazione nell’Atlantico con il titolo temporaneo di ammiraglio. Non è per caso se ricopre questo ruolo, in quanto per anni si è dedicato a conoscere cultura, societá, armamenti e metodi di ingaggio Nippon -inteso come Giappone, NON come i biscotti- e ne è divenuto uno dei principali esperti gaijin.

-FRATTANTO (2), NEL MONDO-

Marzo del 1941: il ministro degli esteri giapponese Yōsuke Matsuoka è in missione diplomatica nella terra dei pretzel e del bratwürst, quando il baffetto buffetto Adolf gli concede un’udienza importante.
Hitler fa capire ai giapponesi come é nell’interesse di tutte le forze dell’Asse l’inizio di un’espansione verso il sud del Pacifico per impegnare così le potenze anglosassoni (Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) sottraendo le risorse con cui stanno mantenendo in vita (grazie all’invio continuo di carghi di rifornimento) il lumicino della speranza della resistenza britannica ad un’invasione tedesca via terra.


La grossa falla nel piano di BB -Baffetto Buffetto- è tenere nascosta l’imminente offensiva in programma contro l’Unione Sovietica tramite l’Operazione Barbarossa. Matsuoka si ritrova in aprile a Mosca al cospetto dell’altro BB -Baffone Buffone- Stalin per stipulare un patto di non aggressione russo-nipponico che permetterà ad entrambi gli schieramenti di smobilitare forze dalla Manciuria per dedicarle ad altri punti caldi della guerra.
Nello specifico questa mossa da un lato fornisce gli effettivi necessari alla Russia per l’estrema resistenza (fra le principali cause della sconfitta del Reich) e dall’altra concede allo stato maggiore del Giappone l’elaborazione del progetto di politica nazionale di espansione nel Pacifico che prevede il completo isolamento della Cina e la creazione della cosidetta ‘Sfera di co-prosperità della grande Asia Orientale’.

L’Impero giapponese nel suo momento di massima espansione.

Quando il 21 giugno il generale Hideki Tōjō sostituisce Matsuoka, muove immediatamente alla conquista della Cocincina (Vietnam del Sud), ricevendo in cambio da Roosevelt un completo embargo sul petrolio ed altri prodotti strategici (di cui gli USA sono i loro principali fornitori), il congelamento dei beni nipponici su suolo americano ed il divieto assoluto di utilizzo del canale di Panama controllato dagli inglesi.
Tutte cose di cui il Giappone necessita.
Terribilmente.
In luglio l’ammiraglio Nagano in un incontro con l’imperatore Hiroito si mostra pessimista circa le possibilità di sconfiggere gli Stati Uniti a queste condizioni e fa notare come le riserve di carburante che muovono l’intera macchina bellica Nippon dureranno all’incirca un anno e mezzo (ben al di sotto del tempo necessario anche solo per considerare di concludere la questione cinese).
Occorre quindi darsi una mossa e conquistare in fretta le risorse energetiche nelle Indie Olandesi per mantenersi attivi sullo scacchiere mondiale.

-FRATTANTO (3) MA UN PASSETTINO PIÙ INDIETRO, IL NOSTRO EROE-

Il popolo americano ha un grande orgoglio di sè contornato da una notevole dose di patriottismo.
Sulla carta è una cosa buona, intendiamoci, ma in molti casi ‘orgoglio di sè’ coincide con ‘siamo i migliori del resto degli sfigati che popolano il mondo!’, una cosa che in politica estera è sempre pericolosa da pensare.

Gli Stati Uniti vedono il Giappone come un popolo inferiore e con una incomprensibile e lontana cultura retrograda.
Il Sol Levante dal canto suo percepisce gli americani come dei barbari prepotenti senza onore e pienamente appartenenti a quell’occidente che per secoli ha spadroneggiato in lungo e in largo facendo i suoi comodi ed ora chiosa preoccupato che l’imperatore ottenga finalmente tutte le terre che gli spettano per diritto divino.

Questa la situazione in termini generali.

Esistono -e spero esisteranno sempre- però persone che provano a guardare al di fuori dal pozzo in cui vivono e sono in possesso di un’apertura mentale sufficiente ad avere la curiosità di conoscere (quando non di apprezzare) culture differenti.

Richardson, come già detto, è uno di questi casi e in più ricoprendo uno dei ruoli più importanti dell’intera macchina da guerra statunitense ha ben chiaro come sia un grave errore sottovalutare i nipponici.

Nel 1940 Roosevelt gli ordina di far spostare il grosso della flotta del Pacifico dalla sua fonda tradizionale di San Diego, California alla base di Pearl Harbour, Hawaii.


L’ordine arriva senza che lo stato maggiore si sia incontrato con i consiglieri militari in carica (fra cui Richardson) e il nostro protagonista protesta vibratamente a Washington dichiarando quanto sia azzardato far dispiegare una parte così considerevole di forze in una base così avanzata senza possedere una adeguata copertura aerea, una adeguata logistica di supporto e soprattutto una adeguata preparazione dei suoi marinai che percepiscono la guerra come una cosa ancora molto distante sia temporalmente che geograficamente.
Si stava andando a formare su Pearl Harbour un grosso bersaglio goloso e Richardson lo scrisse chiaro e tondo in una lettera ufficiale all’ammiraglio Harold Rainsford Stark, capo delle operazioni navali della marina:
“…ritengo che una delle opzioni al vaglio del nemico possa essere UNA TATTICA DI GUERRA FONDATA SU UN GRANDE ATTACCO PREVENTIVO PER COGLIERCI IMPREPARATI E FARE DANNI NOTEVOLI A TUTTA LA NOSTRA STRUTTURA DI COMANDO, PARALIZZANDO PER MESI LE NOSTRE OPZIONI NELL’INTERO PANORAMA DEL PACIFICO”.


Spero non sia davvero necessario indicare quanto un sacco aveva ragione il buon James. Sta di fatto che per premiarlo per la sua lungimiranza dalla Casa Bianca decidono che sia un’ottima idea LICENZIARLO durante la riorganizzazione della flotta del primo febbraio 1941, passando il comando della neonata ‘Pacific Fleet’ a Husband Edward Kimmel, che avrà in seguito diversi motivi per pentirsene.

“Pareva una così bella promozione!”


-FRATTANTO (4) NEL MONDO-

Il Giappone dopo l’embargo deciso da Roosevelt è di fronte a due scelte possibili per uscire dallo stallo:
Lasciare cadere tutte le pretese di costruire un grande impero in Asia oppure continuare l’espansione in Cina rinunciando però all’Indocina, cedendo alle richieste degli USA e mostrandosi così estremamente vulnerabile.
Nell’estate del 1941 l’aumento della presenza anglosassone nel Pacifico comincia a preoccupare di molto l’alto comando nipponico che inizia ad intravedere una terza opzione chiamata Pearl Harbour.

Isoroku Yamamoto è l’ammiraglio in capo dell ‘Flotta Combinata’ del Sol Levante ed è dalla primavera del 1940 che, conscio della superiorità americana riguardo risorse e industria in caso di conflitto prolungato, sta elaborando un piano per poter sferrare un colpo decisivo alla flotta principale USA “per poter decidere l’esito della guerra sin dal primo giorno”.

Yamamoto.

La ‘Notte di Taranto’ (11-12 novembre 1940) gli da un indizio importante su come muoversi: 20 aerosiluranti della Royal Navy britannica bastano per infliggere dei danni pesantissimi alla Regia Marina italiana -un giorno magari ne parlo meglio, per oggi non divago-

Il porto di Taranto.

Il Giappone può fare meglio degli inglesi, senza dubbio.

Yamamoto considera per parecchio tempo l’idea di un ‘katamechi kogami’ (un attacco suicida su larga scala, di sola andata e da lunghissime distanze) ma poi il comandante Minoru Genda porta alla sua attenzione un piano ancora più elaborato ed ambizioso che prevede anche sopravvivenza di parecchi piloti e velivoli -contrariamente a quanto passa l’immaginario collettivo gli attacchi suicidi in quel particolare frangente erano fermaemente sconsigliati a meno di ultima risorsa nel caso si terminasse completamete il carburante in volo-.

Minoru Genda.

-SEGUONO DIVERSI ‘LO AVEVA DETTO’

La base di Pearl Harbour è lontana dalle coste protette degli Stati Uniti (Richardson lo aveva detto) ed è ben conosciuta dai Giapponesi (Richardson lo aveva detto) che sono in possesso di mappe accurate e di foto aeree dato che lo spazio aereo non è interdetto (Richardson lo aveva detto). In più sono presenti sull’isola una caterva di spie giapponesi che conoscono per filo e per segno quali navi sono ormeggiate, dove e con quanti uomini a bordo (Richardson lo aveva detto).
I marinai americani si sentono quasi in vacanza sulle spiagge hawaiane (Richardson lo aveva detto) ed inoltre il sistema di spionaggio e controspionaggio USA fa girare le informazioni PRIMA verso Washington e solo in seguito verso gli ammiragli in capo, che devono decidere solo a cose fatte (Richardson NON PUÒ SAPERLO dato che questa informazione uscirà in seguito durante il processo di Kimmel che aveva come obiettivo trovare un capro espiatorio a quello che sta per succedere).


Genda era uno dei tipi più cazzuti della seconda guerra mondiale, con tutte queste informazioni mette in piedi una squadriglia aerea d’attacco con i controcavoli che viene dotata di velivoli dalla manovrabilità eccezionale (il caccia leggero Mitsubishi A6M Zeke, o Zero), adattati al meglio per la zona specifica (delle modifiche ai siluri, ad esempio, li rendevano utilizzabili anche nelle acque basse della baia).


Per portare a tiro gli Zeke e le relative portaerei Yamamoto ha inoltre un altro colpo di genio, facendo percorrere all’intera flotta la rotta più lunga (e pericolosa) posta a nord delle Isole Marianne e piombando così sulle Hawaii da una direzione inaspettata dopo aver fatto un giro lunghissimo ma con l’indubbio vantaggio di arrivare a segno senza incrociare alcuna rotta mercantile.

Il piano era colpire durissimo, paralizzare l’intera flotta ed impossessarsi delle posizioni chiave in tutto quel tratto di oceano per continuare ad espandersi nonostante l’embargo e costringere così in difesa l’intero apparto Alleato.
Il piano riesce a metà -non ho intenzione di ripercorrere adesso tutte le fasi dell’attacco a Pearl Harbour e dell’offensiva nel Pacifico, me le tengo buone per un’altra volta- e al costo di cinque sommergibili tascabili affondati e trenta aerei abbattuti le forze di Yamamoto affondano cinque corazzate, due cacciatorpedinieri, distruggono 188 aerei e fanno 2402 morti (più 52 civili di cui ci si dimentica facilmente).

Solo un problema.

Il tutto è stato fatto senza una dichiarazione di guerra, o più precisamente senza FORMALIZZARE la dichiarazione di guerra.


La diplomazia era in stallo da diverse settimane, come abbiamo visto l’obiettivo del Giappone era di sbarazzarsi dell’embargo e quello degli Stati Uniti di evitare la presa dell’Indocina. Le trattative proseguirono SIMULTANEAMENTE alla partenza della flotta di Yamamoto che però da buon seguace del bushido era impensabile (anche pur volendo effettuare un attacco preventivo) che si lanciasse all’attacco in completa assenza di una dichiarazione di guerra.
Secondo i piani difatti, l’attacco giapponese doveva iniziare ESATTAMENTE mezz’ora DOPO che la ratificazione giungesse a Washington, come completamento di una relazione iniziata il giorno prima.
Così non fu, dato che una sequela di errori marchiani di invio delle informazioni, traduzioni e recapito ritardarono il tutto ad attacco già in pieno svolgimento.

Mi rendo perfettamente conto che TRENTA MINUTI di avviso all’inizio di una guerra è un tempo che permette giusto di poter cavillare a posteriori, ma va detto che senza questo errore l’attacco a Pearl Harbour sarebbe stato QUASI giustificabile nell’ottica di un conflitto guerra e che, soprattutto, senza la promessa di un attacco onorevole ben pochi soldati nipponici avrebbero accettato di svolgere il loro dovere (difatti esistono soverchie testimonianze di anziani reduci giapponesi che hanno appreso solo in seguito che nel mondo la loro impresa eroica e preparata fin nei minimi particolari era stata percepita come un attacco vigliacco ed infamante e di come questo li ha fatto percepire solo allora quanto la propaganda gli aveva mentito).

Va altresì detto che era BEN PIÙ DI UN ANNO che lo spionaggio americano aveva decrittato il ‘Purple Code’ con cui le ambasciate giapponesi comunicavano in patria ed erano quindi ben informate di un attacco prossimo nel Pacifico, alzare di parecchio il livello di guardia sarebbe stato utile.


A voler essere stronzi -o complottisti, in molti casi è dire la stessa cosa- Roosevelt indirizzò abilmente gli eventi in questa direzione per sacrificare le vite di più di 2.000 uomini ed avere finalmente un motivo concreto per compattare il paese contro un perfido nemico comune, smuovere le masse neutrali alla guerra e finalmente ergersi in difesa della libertà che stava venendo schiacciata dai regimi autoritari.

Personalmente credo che l’attacco sia stato un’ottima motivazione per raggiungere questi obiettivi, ma non che sia stato volutamente provocato.

-sì, potrei iniziare a sproloquiare sul golfo del Tonchino o sull’attentato al World Trade Center e su come l’America sia sempre stata brava ad utilizzare in seguito fatti simili per i propri interessi, ma direi che è ora di chiudere-.

L’attacco di Pearl Harbour rinsalda l’intera opinione pubblica USA, gli arruolamenti aumentano in maniera vertiginosa e l’intera macchina industriale si converte in massa alla produzione di guerra. L’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti rende la Seconda Guerra Mondiale davvero MONDIALE e fornisce un’enorme boccata d’aria all’Inghilterra che stava ormai rantolando sotto la pressione dell’Asse.

Pearl Harbour sarà anche il motivo per cui per molto tempo si parlerà di giorno dell’infamia’ e per cui anni dopo, si giustificherà l’impiego della bomba atomica.

Pearl Harbour nonostante gli evidenti errori di intelligence vedrà condannare come colpevoli solo l’inefficienza degli ammiragli Stark e Kimmel che perdono due ranghi e poi si congedano nel disprezzo generale.

Il tutto mente James Otto Richardson tutte le volte che entra in un bar racconta la storia di come lui sono anni che l’aveva detto che spostare la flotta a Pearl Harbour era un’idea balorda.

Ma si sente tutte le volte rispondere “dei se e dei ma son piene le fosse”.

E allora me lo vedo incrociare le braccia e fare quell’espressione che ha nella sua foto più famosa.

“Checcazzo però!”

 

 

Yamamoto.

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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