Gabriella Mereu

Non sarà particolarmente semplice scrivere la storia di oggi.
Non lo è mai, intendiamoci, ma in questo caso oltre alla lotta perpetua contro l’insonnia che mi segue dappertutto come una fidata compagna di lucida follia, rischierò di sicuro delle denunce correlate da beghe legali se mai queste righe capiteranno in mano alle persone sbagliate (o giuste, a seconda dei punti di vista).

Come diceva Clark Gable: “Frankly, my dear, I don’t give a damn!”.
Trovo che alcune cose vadano dette per ciò che sono, senza girarci troppo intorno, anche perchè come diceva un’altra icona mondiale di mascolinità (Funari)


…per quel che mi riguarda in questa storia di stronzi ce ne sono parecchi.
-È mia abitudine quando scrivo su questo blog mettere dentro alla storia un po’ della mia bufferia. Stavolta non ne troverete…o meglio OVVIAMENTE ne troverete, ma mischiata ad un vortice di altri sentimenti.
Questo perchè alcune parti di quel che vi racconterò vanno a toccare dei nervi ancora particolarmente scoperti per me (e non solo per me), ma ci tengo a chiarire fin da subito che quanto leggerete da qui in avanti ha ricevuto l’approvazione dell’unica persona da cui mi sia mai importato di riceverla prima di scrivere qualcosa.
E non sto parlando della Mereu.-

Neoplasia: dal greco neòs (nuovo) e plàsis (formazione).
Tumore: dal latino tumor (rigonfiamento).
Il patologo australiano Rupert Allan Willis definisce questo stato come: “La formazione di una massa abnorme di tessuto che cresce in eccesso, in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali e che persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo”.
Io, ad oggi, la definisco con una serie inarticolata di improperi e bestemmie, ma credo di poter illustrare bene le motivazioni…

Fine dei ruggenti anni ’90: sono un bambino con ancora un sacco di possibilità di diventare un rispettabile membro della comunità, lustri prima che la vita mi schiacci in un guscio di cinismo, sigarette ed alcool a basso costo rendendomi il reietto schifato da tutti che sono oggi -non sembra, ma la considero una vittoria personale-.
I miei genitori sono riusciti dopo una decade di sacrifici, ansie e nervosismo a raggiungere il ragguardevole traguardo di ristrutturare una casetta e ci si sono trasferiti trascinandosi dietro una palla frignante (io), passando dalla piccola Domodossola alla minuscola Crevoladossola.

Considerando che c’è chi mi legge dallo Zambia -o più probabilmente è finito qui per caso cercando dei porno interrazziali europei su Google- mi tocca spiegare che i due comuni sono così attigui che avendo speso dei punti abilità in ‘sputare’ potete agevolmente varcarne i confini con la vostra saliva.
Più volte.
Ma per un undicenne cresciuto nel quartiere della ‘Cappuccina’ -immaginatevi una zona popolare creata ad hoc negli anni ’50 per accogliere nel profondo nord torme di immigrati provenienti dal profondo sud (prevalentemente dalla Calabria) in un periodo storico in cui i cartelli “Non si dà alloggio ai terroni!” erano comuni come quelli “Prima gli italiani!” di oggi e vi siete fatti un’idea- era come essere catapultati su Plutone.

Il grumo a destra è Domo, quello a sinistra Crevola. Il tutto ripreso dalla casa nel bosco in cui mi sono autoesiliato.

Mettiamola così: l’Ossola è fottutamente brava a farti sentire a disagio. Anche il semplice provenire da tre chilometri di distanza può essere un problema. Iniziare le scuole medie non conoscendo nessuno proveniendo da tre chilometri di distanza, avendo in più delle fattezze ben poco nordiche può diventare un GROSSO problema.
Intendiamoci, uscivo da anni di vita in un quartiere in cui il problema principale era che possedevo dei tratti non abbastanza del sud ed ero sopravvissuto ai rimasugli del grande boom dell’eroina di fine anni ’80, a comprovati pederasti, a egiziani maneschi e alle faide familiari che si trascinavano da decenni a colpi di: “Chiamo ammio cuggino che ti pesta uscendo la lama!”.

‘L’Otto’: Il parchetto direttamente sotto la mia camera di quegli anni da cui si poteva assistere allo spettacolo di persone che copulavano, tipi che si peravano, risse, accoltellamenti e una rongia che esondava ogni due per tre portandosi dietro pagine di hentai appiccicaticci.

Insomma: ad undici anni ero già arrivato alla grande verità che, a prescindere da dove nascano, le persone fanno cagare.

Due anni dopo la situazione non era migliorata un granchè ed anzi mi ritrovavo a dover far convivere ogni mia giornata scolastica con un tipico bulletto ossolano -che a distanza di anni verrà condannato per aver formato una combriccola con cui andava in giro a malmenare, violentare e rapinare le prostitute della zona LASCIANDO UN SORDOMUTO A FARE DA PALO (true story)- ed un suo cugino DECISAMENTE troppo grande per essere lì, dato che deteneva l’inusitato record personale di tre bocciature ALLE SCUOLE MEDIE DI CREVOLADOSSOLA!
Bastava saper respirare e deglutire correttamente per non perdere degli anni, non è che venisse richiesto molto di più.

Comunque…in questo ambiente frizzantino non è che ci fossero SOLO delle merde irrecuperabili, esisteva ADDIRITTURA una parvenza d’aggregazione in uno sfasciatissimo campetto di calcetto, anni prima che l’unico luogo consono per la socialità divenisse ‘il bar’ con tutto quello che ne può conseguire -non ultima, temo, una cirrosi galoppante-.
Ai tempi uscivo, pedalavo per venti minuti, schivavo sberle, precoci sigarette, seni troppo grossi per quell’età -che comunque non sono mai riuscito a toccare-, passavo ore a far chilometri rincorrendo un pallone sgonfio, pedalavo per altri venti minuti e rientravo a casa.

Questo campo mi deve ancora un polso.

Uno dei giocatori che avevano l’onore di venire scelti per primi nella formazione delle squadre di quelle interminabili partite DECISAMENTE NON ero io -sono sempre stato più bravo a schiantarmi a terra con il portatore di palla che a pensare al bel gioco-, ma un ragazzino di qualche anno più piccolo che (stranamente) mi stava simpatico e che chiamerò ‘Obe’.
Obe possedeva l’indubbio pregio di farsi voler bene grossomodo da tutti perché era in grado di voler bene grossomodo a tutti -una skill che io ho non credo di aver mai posseduto- e riusciva a rapportarsi con successo sia con le fasce alte della vita sociale di quella scuola, sia con i pariah come me.
Gli si poteva imputare forse un unico difetto: una fortissima fede calcistica per l’Inter.

Un giorno come tanti altri arrivo al campetto ed Obe manca all’appello, è parecchio strano perchè di solito è uno dei primi a presentarsi per fare ‘riscaldamento’ (una pratica che ai tempi veniva vissuta come un’inutile perdita di tempo ma che con gli anni si è rivelata fondamentale anche solo per pensare di scendere dal letto al mattino) ma “probabilmente recupererà con il doppio delle partite domani” penso nella mia testa da tredicenne generico.
Settimane dopo Obe si ripresenta al campo visibilmente emaciato, pallido da far spavento e con un cappellino della Pirelli che non riesce a coprire del tutto la pelata al di sotto, cosa che genera una sonora ilarità e prese per il culo da parte di bambinetti appena entrati nella fase preadolescenziale.
Io rido poco, perchè sebbene tredicenne ed idiota anni di serie tv mi hanno bene insegnato cosa può significare.
Lui ride meno, mentre spiega a tutti che da un generico controllo in ospedale è saltata fuori una strana massa al cervello.
Decisamente nessuno ride più quando qualche mese dopo ci dicono che è morto.

Da quel momento la mia testa inizia ad associare la parola ‘tumore’ ad una condanna senza via di scampo e decenni dopo credo di essere l’unica persona che presente in quel campetto scassato a ricordare dove è seppellito uno dei ragazzi che più di molti altri avrebbe meritato la possibilità di avere delle possibilità…una tomba semplice da trovare, dato che è quella con la foto di un giovane sorridente calato in una maglia dell’Inter troppo grande.


-Flashforward-

Luglio del 2014, Praga: vivo una vita perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, sostendandomi con un lavoro part time che mi fa stare a stretto contatto con qualcosa che amo (i videogiochi) e nel contempo acuisce il fastidio verso un qualcosa che odio (la gente).

A mantenermi ancorato sotto il livello di guardia: Studio Aperto gira un servizio su di te con una musichetta triste di sottofondo dopo che hai strappato a morsi la giugulare a qualcuno’ c’è una delle pochissime persone sulla faccia della Terra a cui tengo moltissimo che chiamerò ‘Ferfe’ e che a tutt’oggi fatico a comprendere come diamine faccia a stare con me, considerando quanto a volte io risulti insopportabile anche a me stesso.

Fra le miriadi di cose per cui dovrei ringraziarla -ma che poi il mio maschio orgoglio si tiene per sè- c’è l’avermi fatto scoprire il piacere di viaggiare, insieme a quello di prendere coscienza su quanto la cosa sia abbordabile col giusto piglio anche per delle tasche spiantate come le mie.
Praga è uno di questi viaggi.
Viaggio organizzato tutto da lei, mentre nel contempo viene sballottata come la pallina di un flipper durante un multiball per realizzare sogni coltivati da una vita e SOPRATTUTTO mentre deve gestire le turbe mentali di un disadattato sociale qual è il sottoscritto.
Ferfe è un tantinello stressata.
Quando comincia ad arrivare febbre a ripetizione, stanchezza cronica, prurito localizzato ed eritemi la prima cosa a cui pensiamo tutti è che Ferfe sia stressata.
Poi ad un’allergia.
Poi ad un’intolleranza.
Poi andiamo a Praga.

Mentre soggiorniamo in uno degli hotel più stellati in cui mi sia mai capitato di fare la cacca (e nel contempo scopriamo che in Repubblica Ceca le stelle degli hotel non possono davvero difenderti dai ragni giganti che ci vivono), decidiamo di passare una tipica serata romantica da coppia di turisti in vacanza:
Cena in un ristorante medioevale che fa pagare uno sproposito una trota al cartoccio cotta in un camino, tappa al primo bar ‘bear gay friendly-da cui il mio ego ne esce PARECCHIO rinvigorito- e poi lei che crolla addormentata non appena tocca il materasso mentre io estraggo il mio… Nintendo DS (maiali!) per chiudere in bellezza una serata composta per un buon 30% da dei cocktail offerti da un ceco di due metri (più tacco) vestito da donna.

Tutte le volte che racconto questa storia c’è qualcuno che mi accusa di inventarmi stronzate. E’ in quel momento che ringrazio di avere questa foto, sebbene sfocata.

Mentre il mattino dopo riprendo conoscenza e mi ritrovo ad accarezzarle la schiena, noto un piccolo bozzo sul suo collo, mentre glielo faccio notare lei teneramente mi manda a cagare per averla svegliata e si rimette allegramente a rotolarsi nel letto.
-Salto di qualche mese in avanti-

“Sono appena tornata dai controlli, hai presente quel rigonfiamento sul collo? Pare sia un linfoma…”

Leggo questo messaggio su WhatsApp dopo essermi svegliato da una serata particolarmente complicata e mi ci vuole almeno una decina di minuti a capacitarmi della cosa…
Poi a credere alla cosa…
Poi ad accettare la cosa…
Poi ad informarmi sulla cosa…
Poi ad incazzarmi per la cosa…
Poi ad andare completamente in panico per la cosa…
Poi a rendermi conto che questa cosa ha colpito la prima persona nella mia scala delle persone che non dovrebbero essere colpite da questa cosa…
Poi ad elaborare la cosa…
Poi a ripromettere a me stesso di non farle mai vedere quale abisso nero mi si è spalancato davanti, perchè non le serve un bambino spaventato a fianco durante questa cosa -credo di avere oggettivamente fallito e lei se n’è accorta tipo subito-
Poi ad essere atterrito dalla cosa…
Poi a sentirmi completamente inutile ed impotente per questa cosa…

Tutto questo a ripetizione, mischiandosi, dipanandosi e ritornando sempre più forte -e mentirei spudoratamente a dire che ogni tanto non lo fa ancora- per tutti i sei mesi di chemioterapia necessari a far ritornare la situazione sotto controllo.
Sei mesi in cui ho avuto la conferma di stare con una delle donne con le palle più quadrate che abbia mai conosciuto, in quanto ERA LEI che andava in giro ad chiedere a delle persone visibilmente preoccupate: “e tu come stai?”.
Sei mesi in cui ho avuto anche la conferma di stare con una fogna, in quanto a mia memoria non credo esista sulla faccia della Terra una persona sotto chemio che appena terminato un ciclo di cure ordina un panino: ‘melanzane e zucchine fritte’ SPOILER: non è finita benissimo-.

Vi sto raccontando questa pletora di cazzi miei (e non solo miei) essenzialmente per tre motivi specifici:

1- far desistere ogni fan della Mereu ad arrivare fin qui con la lettura (non credo nemmeno davvero che un fan della Mereu sappia leggere, figurarsi leggere così tanto, figurarsi leggere così tanto e capire cosa c’è scritto).

2- farvi capire che non sono del tutto estraneo a queste situazioni di merda -sebbene sia consapevole che nell’ultimo caso in esame le cose sono tutto sommato andate bene (per quanto male) ed esista al mondo parecchia gente che sta vivendo casini del genere ben peggiori. Anche se credo che la situazione diventi immediatamente ‘LA Peggiore’ quando colpisce qualcuno a cui teniamo-.

3- Descrivere lo stato mentale con cui sono venuto a conoscenza della protagonista di oggi.

Gabriella Mereu nasce a Quartu Sant’Elena, in provincia di Cagliari, il tre maggio 1954.
Ventinove anni dopo si laurea a Sassari in medicina e chirurgia e decide in seguito di spostarsi ad Urbino per conseguire un diploma in ‘medicina olistica’, da qui in poi è una veloce discesa verso gli abissi della follia.

L’olismo (oltre ad essere il superpotere più forte di Dirk Gently) è la concezione filosofica che si basa sul concetto per cui: “le proprietà di un sistema non possono essere ESCLUSIVAMENTE spiegate tramite la presa in esame delle singole componenti in quanto la sommatoria delle parti è sempre maggiore della singolarità che la compongono”.
“E grazie al cazzo!” dico io che con l’olismo non ho affatto un buon rapporto.

Tutta questa ritrosia mi deriva principalmente da una conversazione avuta al bar con un esponente moderno della tristissima deriva che hanno preso gli hippie, che saputo chissà come della condizione di Ferfe tentava di spiegarmi che avrei dovuto convincerla a farle interrompere le cure della medicina ufficiale e sostituirle con quelle olistiche perchè: “la sua malattia è chiaramente un grido di allarme dell’anima che mal si lega al suo corpo ed evidentemente il linfoma se l’è anche un po’ cercato!”.

Considerando il mio stato mentale del periodo trovo onestamente incredibile non essere finito nei paginoni centrali di cronaca nera con un ergastolo per ‘omicidio bizzarro’.

Intendiamoci: non sono contrario a priori a qualsiasi pratica di ‘medicina alternativa’.
Qualsiasi cosa faccia sentire meglio il malato -qualsiasi!- dall’agopuntura perianale, alla meditazione zen, alle orge di furry è bene accetta.
Sono contrario a priori alle pratiche di ‘medicina alternativa’ che richiedono di interrompere le cure ‘ufficiali’ evolutesi in centinaia d’anni di metodo scientifico perchè: “Plutone è nel giusto allineamento con Saturno e le energie eteriche di Mu possono rinvigorire il tuo spirito solo se smetti di assumere ciò che il tuo corpo non produce”.

Comunque, tornando alla nostra protagonista, la medicina olistica non è ancora abbastanza, le serve qualcosina in più.
Nel ’92 arriva un diploma in GRAFOLOGIA e subito dopo inizia a seguire corsi su corsi dello zenith maximo delle stronzate, la MEDICINA OMEOPATICA.

Come mi ha ben spiegato un amico medico -quindi pacato profumatamente dalle Big Pharma per dirlo-:
“Se vuoi fare un discorso sull’omeopatia, per me tutto parte dalla storia del numero di Avogadro per cui, semplicemente, il farmaco omeopatico non contiene neanche una molecola di sostanza E LA MOLECOLA È LA PIÙ PICCOLA PARTE DELLA MATERIA CHE PUÒ IN QUALCHE MODO AVERE UN EFFETTO CHIMICO-BIOLOGICO!
Stuoli di studi ed articoli scientifici sono arrivati tutti allo stesso risultato: l’omeopatia non ha un effetto maggiore all’effetto placebo che qualsiasi altra cosa può avere.
Se io iniziassi a curare qualcuno lanciandogli addosso dei Mikado spacciandoli per ‘cura miracolosa’ il risultato sarebbe ESATTAMENTE lo stesso di quello ottenuto con i ‘farmaci’ omeopatici.
Numero di Avogadro.
Stop.
Fisica.
Validato da millenni.

Gli egizi con l’ombra di un bastone avevano calcolato con l’approssimazione di qualche centinaio di metri la circonferenza terrestre, che cazzo ne vuol sapere un troglodita omeopatico dopo aver letto due articoli su internet o completamente fasulli o completamente campati per aria come credibilità?”

Ricapitolando: Gabriella Mereu è un chirurgo omeolistico che si diletta in grafologia, ma come unire tutto ciò?

“Sta storia del multiclassare è andata troppo oltre!”

È presto detto, la nostra protagonista elabora un metodo chiamato ‘terapia verbale’ che prevede un esame approfondito TRAMITE UN PENDOLINO per individuare il punto esatto in cui il corpo del paziente sta soffrendo, poi gli chiede di scrivere su un foglio i sintomi PER ANALIZZARE TRAMITE LA GRAFIA CIÒ CHE IL SUBCONSCIO TENTA DI DIRE AL MONDO TRAMITE LA MALATTIA ed una volta individuato il punto esatto -tenetevi forte- LO PRENDE A PAROLACCE PER FARLO REGREDIRE!
Perchè sfruttare macchinari costosi quando c’è un pendolino?
Esami del sangue? Meglio carta e penna!
Chemioterapia? Te lo curo a colpi di ‘stronzo!’ quel tumore…

Sarebbe già abbastanza folle fin qui ma a questa assurda situazione dovete poi aggiungere che Gabriella scredita la medicina ufficiale con i poveracci che riesce a convincere (perchè troppo stupidi o troppo disperati) con i suoi libri e le sue conferenze che si affidano totalmente al suo percorso di ‘cure’ fatto di ‘acqua e zucchero e vaffanculo’ che in più di un caso portano al naturale peggioramento del malato.

La cosa poteva terminare solo con il superpotere degli ‘insulti guaritori’ -fosse stato per me anche prima- ma a questo dovete aggiungere che la Mereu inizia a fare diagnosi via email, specificatamente senza avere alcun contatto con il malato e da esse scaturiscono malattie interessanti come ‘IL TIC NERVOSO DI UN BAMBINO CHE BALLA VENTIQUATTROMILA BACI DI CELENTANO chiaramente perché gli manca l’affetto materno’ (e l’acqua omeopatica a pagamento, ovviamente).

Legit

Il fondo del barile viene comunque raggiunto con il suo trial per la cura delle cistiti femminili (tenetevi forte):
La paziente (ma va bene lo stesso anche se lo fa un’amica della paziente) dovrà INFILARSI UNA MEDAGLIETTA DELLA MADONNA NELLA VAGINA E CORRERE AD ASCOLTARE MESSA.
..

Non sto scherzando, è la Mereu stessa ad esporre questa cagata durante una delle sue numerosissime serate organizzate in provincia di Vicenza.

Come purtroppo spesso accade in questo paese, solo quando arriva una troupe delle Iene -ai tempi preoccupatissimi di imbroccarne una dopo la vaccata di Stamina- l’opinione pubblica si infervora e si indigna.
Nel 2015 un servizio di Nadia Toffa presenta questa ‘dottoressa miracolosa’ e fra le miriadi di stronzate che sentiamo (fiori di Bach come cura di tutti i mali, calcoli renali derivanti dal maneggiare soldi perchè FAI I CALCOLI MATEMATICI o dall’avere i baffi, INSULTI CHE GUARISCONO I TETRAPLEGICI) viene fuori pure che non è vero che la Mereu dona i suoi ‘miracolosi poteri terapeutici’ aggratis, in quanto saltano fuori conti di riferimento in Svizzera che attestano questa squilibrata per quello che è: una truffatrice.

-è particolarmente difficile per me che odio quel programma ammetterlo ma brava Nadia Toffa e brave le Iene in questo caso, c’è poco da dire-

La linea di difesa della nostra protagonista è comunque straordinaria:
“La giornalista mi ha ipnotizzato!”.

Dopo la ribalta nazionale data alla cosa FINALMENTE anche l’ordine dei medici si interessa alla questione, iniziando un procedimento che si conclude il 25 luglio 2017 con la sua radiazione.

Sarebbe bello se ‘radiazione’ significasse letteralmente: ‘trasformarla in onde radio da sparare nello spazio’, ma purtroppo (come ci tiene a farci sapere direttamente lei) “tranquilli, non mollo e non vi mollo”.
Considerando che ANCORA ADESSO c’è gente che paga 50 euro a conferenza per assistere ai suoi deliri, la cosa suona molto come una minaccia.

Per sottolineare quanto la sua salute mentale ci abbia mollato già da parecchio tempo c’è un filmato di un minuto e trenta dove Gabriella apprende la notizia col suo solito aplomb mettendosi a ballare come una psicopatica e perdendo le scarpe per la stanza.
Proprio quello che ti aspetteresti da un luminare della medicina.

Dato che sono una persona qualunque e le mie parole valgono poco, questa volta per la chiusa uso le frasi di una persona che la medicina (intendo quella vera) l’ha studiata davvero:

“I vari personaggi santoni tipo Mereu o Vannoni per me o sono fuori di testa o in mala fede o tutti e due.
Perchè, sopratutto se sei medico o uomo di scienza sai che la scienza è rigorosa, non si può barare, e sopratutto non si scherza con la salute della gente.”

Ecco, vaffanculo Gabriella, magari è guaritore anche il mio.

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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