Hailè Selassié

Se frequentate questo blog da qualche tempo dovrebbe ormai risultarvi chiaro quanto io e le religioni andiamo d’accordo. Ho speso fiumi di parole a riguardo (spesso in maniera molto poco lusinghiera) e normalmente non mi interesserebbe minimamente di offendere chi crede in Dio/Buddha/Allah/santoni ciechi che si dilettano col sarin/Flying Spaghetti Monster.

A questa lista oggi si andranno ad aggiungere i rastafariani, con cui ho delle passioni in comune OVVIAMENTE parlo di dreadlock e musica reggae, lo dico nel caso questo post venga letto da qualche appartenente alle forze dell’ordine- ma a cui non perdonerò mai il fatto di aver contribuito alla morte di un grande musicista come Bob Marley, avvenuta per un tumore a un dito del piede FACILMENTE CURABILE CON L’AMPUTAZIONE dello stesso ma che contrastava con il precetto religioso di arrivare alla morte con il corpo integro.

Voi mi avete tolto Bob, io parlo del vostro Dio-re. Mi pare equo.
E comunque “I shot the sheriff, but I did not shoot the deputy”.


Hailè nasce con il nome di Tafàri Maconnèn il 23 luglio 1892 nella cittadina etiope di Egersa Goro e a voler dar retta al suo albero genealogico è il DUECENTOVENTICINQUESIMO discendente diretto DELLA PIÙ ANTICA FAMIGLIA REALE DELL’INTERO PIANETA che ha origine nel 1011 AVANTI CRISTO dall’imperatore Menelik I, figlio nientemeno che del re d’Israele Salomone e della misteriosa Regina di Saba Makeda.

Una coppia salda, nonostante le facce schifate.


Per intenderci qui in Italia in quegli anni gli etruschi non sapevano ancora di essere etruschi ed erano appena entrati nella fase protovillanoviana, iniziando a dar fuoco ai loro morti prima di seppellirne le ceneri.

Il nostro protagonista è figlio del ‘ras’ (titolo onorifico etiope corrispondente a ‘capo’) Maconnèn Uoldemicaèl e cugino del ‘negus’ (‘re’) Menelik II. Viene così cresciuto tra la corte paterna e quella imperiale, ricevendo un’educazione mista che lo fa diventare presto un avido lettore poliglotta, cosa che gli è di soverchio aiuto quando viene insignito del titolo di governatore di Harar (una città che oggi ospita 75.000 abitanti) ad appena TREDICI ANNI -io alla sua età invece spaccavo il salvadanaio per potermi permettere un Tamagotchi-.

Papà Uoldemicaèl.

Menelik II.


Quando nel 1910 il re abbandona la scena politica a causa una brutta malattia polmonare che lo porterà in seguito alla morte, l’intera corte etiope si aspetta che il titolo passi al preparato Tafàri ma a sorpresa viene nominato alla reggenza del paese il ‘ligg’ (‘figlio’) Jasù V.

Nel 1916 viene ordito un colpo di stato dall’imperatrice Zauditù che fomenta i cristianissimi nobili facendo girare la voce (falsa) che Jasù si sia convertito all’Islam e abbia in mente la stessa sorte per tutto il paese. La rivolta porta a un veloce cambio di vertice e fa planare il nostro protagonista dritto sul trono fra l’entusiasmo di Francia, Italia e Regno Unito che mal digerivano il rapporto che si stava instaurando fra il precedente reggente e l’Austria.

Nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale ogni alleato di un nemico diventa instantaneamente il nemico.

E l’imperatrice lo sa bene.


Mentre nelle campagne i lealisti di Jasù si lanciano in una guerriglia che ha ben poche speranze di vittoria (benchè trascinata sino al 1924) Tafàri ha una visione molto più ampia del mondo e decide di puntare tutto su una modernizzazione del paese intesa a far coesistere le tradizioni secolari (principalmente per evitare di agitare la vecchia classe nobile) con alcune innovazioni amministrative e liberali.

Questo porta nel 1923 l’Etiopia a ottenere l’ingresso nella Società delle Nazioni, divenendone il primo paese membro del continente africano .

Il 2 novembre 1930 il nostro protagonista guadagna il titolo di imperatore e cambia il suo nome nel modestissimo ‘Hailè Selaissè’ (che significa ‘POTENZA DELLA TRINITÀ’) con cui viene principalmente ricordato dalle pagine della storia. Si ritrova così solo, al comando di un paese che sta tentando di prendere una via nuova e che pur dovendo fare i conti con un’endemica carenza di risorse, ricchezze e tecnologie sta provando a uscire dai vecchi feudalesimi che lo governano, formando una classe dirigente che per la prima volta nella sua storia millenaria tiene conto più del merito dell’individuo che della linea di sangue della famiglia di provenienza.

In politica estera Hailè ottiene importanti risultati (la Gran Bretagna ridimensiona le mire espansionistiche sulla regione del lago di Tana e si comincia a dialogare con la Francia per poter ottenere un indispensabile sbocco sul mare) e alcuni attriti che col tempi diventano sempre maggiori quando l’talia fascista si ritrova ad affannarsi (in netto ritardo rispetto ad altre nazioni) per dimostrare al mondo di essere in grado di fondare un proprio impero coloniale, più o meno sulla falsariga di quello che succede quando vedete qualcuno fuori da un bar fare una rissa per affermare la propria virilità.

“Sostengo con forza il fatto di avere il pene più grosso!”


A Roma non si fa davvero mistero che l’Etiopia sia un bersaglio perfetto per quest’espansione pazzerella e i continui tentativi di intromissione (dal sostenere le varie congiure messe in piedi da alcuni nobili scontenti fino al tentativo di liberare Jasù dal carcere in cui era imprigionato per rimetterlo a capo della guerriglia) hanno come unico risultato quello di mettere in allerta le spie etiopi che corrono a riportare all’imperatore la notizia della presenza di un imponente e prossimo piano d’invasione.

Hailè fa quello che tutti i governanti farebbero nella sua situazione: alza le tasse (provocando anche delle rivolte, subito sedate) e si lancia in una frettolosa corsa al riarmo arruolando consiglieri militari dall’estero (russi, belgi e svizzeri) affidandogli il compito di organizzare un esercito che possa tener testa alle armate fasciste.

Il nostro protagonista non è stupido.

È perfettamente consapevole di avere gravi carenze sotto tutti i fronti e troppo poco tempo per colmarle, quindi si adopera meglio che può anche con i canali diplomatici, mostrando una fiducia (forse troppo eccessiva) nei riguardi della Società delle Nazioni.

Poi arriva il 5 dicembre 1934.

Ual Ual è un complesso di 359 pozzi acquiferi fondamentali per chiunque si ritrovi di passaggio nei deserti dell’Ogaden, siano essi nomadi provenienti dalla Somalia italiana (istituita nel 1889), forze inglesi della Somalia britannica o etiopi, sulla carta I VERI POSSESSORI di una regione che ha la sfortuna di possedere dei confini definiti da nient’altro che sabbia. Gli accordi stipulati nel 1908 con l’Italia fanno CHIARAMENTE menzione al fatto che le forze della colonia del bel paese non si possono inoltrare per più di 180 miglia dalla costa.

Ual Ual ne dista trecento.

Immaginate la gioia degli etiopi quando si accorgono che dal 1925 le forze italiane (formate in gran parte da bande di irregolari mercenari ‘dubat’ assoldati dal governatore Cesare Maria de Vecchi) presidiano con sempre maggiore arroganza le linee di rifornimento d’acqua senza le quali l’attraversamento del deserto passa da ‘complesso’ a ‘mannaggia al Cristo però!’

De Vecchi e i suoi bei baffi.

Gli italianissimi dubat.


Nel ’34 la situazione tenuta sotto controllo a stento dalle truppe inglesi che svolgono il ruolo di pacieri ha un escalation quando il fortino di Ual Ual (settanta metri di terra battuta circondati da una trincea e da una palizzata di tronchi) viene circondato da circa 600 uomini etiopi che sotto il vigile e neutrale occhio brittanico del colonnello Clifford hanno il compito di “rimuovere l’impedimento a mano armata alla libera circolazione in Etiopia nella regione di Ual Ual”.

Il ‘fortino’.


-tifate pure per chi volete a questo punto ma ricordatevi che l’Italia ha oggettivamente CENTOVENTI MIGLIA DI TORTO MARCIO

Quando comunicano la notizia a Mussolini lui va in brodo di ricino, è il casus belli perfetto e non aspettava altro. Dal canto suo Hailè scatena questo bailamme costretto da un misto di pressioni interne e troppa fiducia nel peso diplomatico dell’alleato inglese.

I due dubat a capo del fortino, Alì Uelie e Salad Mahmud Hassan ricevono ordini tassativi via radio di non arrendersi per nessun motivo, nel frattempo il capitano del vicino presidio di Uarder, Roberto Cimmaruta (soprannominato dagli indigeni ‘Arda at’ che sta per ‘Occhi Chiari’) viene allertato di preparare l’intera sua colonna di fanteria per uno scontro.

Mentre al campo le trattative procedono male e a rilento si decide per un’italica azione di diplomazia BUFFA, quando una squadriglia di biplani da ricognizione sorvola radente il campo etiope sparacchiando qualche colpo.
Il momento è così concitato, gli aerei così rumorosi e i mitraglieri così scarsi che L’UNICA testimonianza a riguardo è quella del mitragliere stesso, Gerardo Zaccardo, PERCHÈ NESSUNO SI ACCORGE CHE HA SPARATO!

Da qui in poi un delirio: degli aerei che fanno brutto convincono Selaissè a RADDOPPIARE le proprie forze per fare più brutto (arrivando a 1200 uomini), quindi di rimando per fare ANCORA PIÙ BRUTTO i quattrocento dubat nel forte e la colonna di Cimmaruta vengono affiancati da due autoblindi coperti dall’alto dai continui sorvoli dei biplani IMAM Ro 1.

Top di gamma per il periodo.


La guerra. La guerra non cambia mai.
È solo un modo per fare sfoggio della propria invidia del pene tramite giocattoli sempre più grossi.

DOPO DIECI GIORNI DI MASCHILE E VIRILE STALLO qualcuno ammazza qualcun altro (le fonti sono abbastanza di parte e inattendibili riguardo a chi abbia sparato per primo, ma è poco importante) e una tempesta di proiettili e sangue spazza le sabbie del deserto, prima che la supremazia tecnologica italiana (in particolare gli autoblindi) non trasformino lo scontro in una ritirata e la ritirata in un macello.

Restano sul campo VENTUNO dubat da una parte e TRECENTO uomini dall’altra.
La propaganda fascista cavalca il momento inneggiando alla guerra mentre Selaissè si ritira per riorganizzarsi, confidando di ricevere l’appoggio degli inglesi e dell’intera Società delle Nazioni che (gli va riconosciuto) decide compatta (50 stati su 54) importanti sanzioni economiche nei nostri confronti, considerando che (lo ricordo per i più distratti) GLI ITALIANI HANNO SCONFINATO DI 120 MIGLIA CONTRAVVENENDO A UNA MAREA DI TRATTATI.

Qui da noi l’unica cosa che arriva è che siamo un sacco fighi e il popolo lobotomizzato plaude il solito Benito Impettito quando il 2 ottobre 1935 dichiara l’inizio della guerra etiope (di seguito trattata solo per sommi capi).

Dopo una spinta iniziale fortissima (dovuta principalmente alla tecnologia superiore messa in campo, al fatto che l’esercito era più preparato e SE NE SBATTEVA ALLA GRANDISSIMA DELLE CONVENZIONI SULLE ARMI CHIMICHE O DI EVITARE DANNI COLLATERALI ALLA POPOLAZIONE CIVILE) gli italiani gestiscono con poche perdite (in prevalenza mercenarie) l’offensiva nemica di Natale e arrivano a catturare ras Immirù, il miglior comandante di Selaissè, dopo avergli devastato un’armata di 3000 uomini grazie all’utilizzo della regia aviazione che può muoversi incontrastata nei cieli.

Come esportiamo bene la democrazia.


L’imperatore a questo punto abbandona una guerriglia che sta dando pochi risultati (è difficile ottenerli quando chi affronti se ne frega di sparare sulla popolazione) e fa una cosa che il Duce si è solo sognato di fare nella propria vita, raduna la propria guardia personale e muove IN PRIMA PERSONA quello che rimane del proprio esercito (31.000 uomini) incontro al nemici.

Il contatto avviene nella conca di Mai Ceu.

Qui le forze di Hailè, piagate da un continuo lancio di gas asfissianti dal cielo, si lanciano una coraggiosa offensiva contro le postazioni di alpini e ascari italiani che riescono però a respingerli (nonostante qualche difficoltà dettata dalla foga degli effettivi della Kebur Zabagnà, la Guardia Imperiale) infliggendo loro delle pesantissime perdite, che verranno ulteriormente rincarate quando la Regia Aviazione si getta al loro inseguimento per poter meglio dar sfoggio delle bombe all’iprite, meglio conosciuto come ‘gas mostarda’.

Per l’Etiopia è un colpo durissimo, circa 8.000 caduti in una sola battaglia sono uno di quegli avvenimenti in grado di far perdere un intero conflitto e sebbene il negus continui imperterrito a condurre le sue truppe in battaglia (il 15 febbraio diventa L’UNICO IMPERATORE DELLA STORIA DELL’UMANITÀ AD AVER ABBATTUTO UN AEREOPLANO CON LE SUE MANI) appare evidente come la superiorità degli armamenti valga più del coraggio e del sacricio di migliaia di uomini.

Poco prima dell’ingresso delle truppe italiane nella capitale Addis Abeba (e per il timore che la radessero al suolo per trovarlo) Hailè opta per un esilio volontario dirigendosi a Bath, nel sud dell’Inghilterra.

Il 12 maggio 1936 appare (visibilmente provato) sul palco dell’assemblea della Società delle Nazioni e tiene in qualità del suo ruolo di capo in esilio di una nazione conquistata un discorso che dovrebbe farci vergognare tutti, in quanto italiani.


«È mio dovere informare i governi riuniti a Ginevra, in quanto responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del mortale pericolo che li minaccia descrivendo il destino che ha colpito l’Etiopia.

Il governo italiano non ha fatto la guerra soltanto contro i combattenti: esso ha attaccato soprattutto popolazioni molto lontane dal fronte, al fine di sterminarle e di terrorizzarle. Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia.
Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine di gennaio del 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia.

Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque e i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. Questo fu il principale metodo di guerra.

A parte il Regno di Dio, non c’è sulla terra nazione che sia superiore alle altre.
Se un governo forte acquista consapevolezza che esso può distruggere impunemente un popolo debole, quest’ultimo ha il diritto in quel momento di appellarsi alla Lega delle Nazioni per ottenere il giudizio in piena libertà.

Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio

Il governo di Mussolini, non avendo nulla da controbattere a queste accuse FONDATE E COMPROVATE non potè fare altro che ritirare la propria delegazione paventando uno sdegno e una sicurezza che di lì a dieci anni avrebbe perso del tutto.

Di seguito solo alcuni freddi numeri per ricordare quanto bravi e buoni siamo stati durante la nostra dominazione:

275.000 CIVILI UCCISI in poco più di un anno di guerra.

75.000 PARTIGIANI (perchè quello sono) MASSACRATI negli anni successivi.

17.800 CIVILI vittime dei continui bombardamenti anche in tempo di ‘pace’.

30.000 VITTIME dopo il fallito attentato a quel fantastico governatore che fu Rodolfo Graziani, amichevolmente soprannominato il ‘macellaio del Fezzan’ -arriverò a parlarne anche qui-, molti di questi dovuti a una vera e propria caccia al clero copto.

24.000 PRIGIONIERI FUCILATI.

35.000 DECEDUTI DURANTE LA RECLUSIONE.

– circa 300.000 morti per fame e dissenteria dovute ai ‘danni collaterali’ della dominazione italiana.

Se non avete una calcolatrice sotto mano il conto ve lo faccio io: ESCLUDENDO LE MORTI IN COMBATTIMENTO SIAMO COSTATI ALL’ETIOPIA 756.800 MORTI.

Per farvi capire è più o meno come se domani piovesse un meteorite su Torino dissolvendo quasi tutti gli abitanti.

Il nostro protagonista riesce a tornare in patria solo il 20 gennaio 1941 e unendo le forze del gruppo ‘Arbegnuoc’ ‘patrioti’) riesce a organizzare un moto di resistenza armata che collabora con le forze inglesi per la caduta dell’Africa Orientale Italiana. Particolarmente importante per raccogliere le forze in quest’ottica è il ‘decreto di San Michele’ con cui Hailè concede l’amnistia a chiunque abbia collaborato con l’Italia e (cosa che trovo straordinaria) FA APPELLO ALLA CAVALLERIA DEL SUO POPOLO PERCHÈ TRATTI CON GENTILEZZA E RISPETTO I PRIGIONIERI ITALIANI.

Un gruppo di Arbegnuoc.


“Io vi raccomando di accogliere in maniera conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno, con o senza armi. Non rinfacciate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo.
Mostrate loro che siete dei soldati che possiedono il senso dell’onore e un cuore umano. Vi raccomando particolarmente di rispettare la vita dei bambini, delle donne e del vecchi. Non saccheggiate i beni altrui anche se appartengono al nemico. Non incendiate le case.”

Gli etiopi combatterono a fianco delle forze inglesi varcando i confini dal Sudan e questa volta gli italiani si ritrovarono nella cacchina e in una situazione sostanzialmente opposta da quella vissuta durante l’invasione, con una fuga scomposta dietro l’altra.

Quando il 5 maggio 1941 l’imperatore ritorna trionfalmente nella capitale riappropriandosi del suo trono dopo cinque anni dal suo esilio emette un altro editto che fa intuire la profonda differenza da ominicchi come Graziani:

“Poiché oggi è un giorno di felicità per tutti noi, dal momento che abbiamo battuto il nemico, rallegriamoci dello spirito di Cristo. Non ripagate dunque il male col male. Prenderemo le armi al nemico e lo lasceremo andare a casa per la stessa via dalla quale è venuto.”

Nel dopoguerra Hailè torna a dedicarsi al progetto di ammodernamento del paese che aveva dovuto abbandonare forzatamente quindici anni prima, ma questa volta il suo tentativo di accomodare le varie anime della nazione si mischia con una ferrea volontà di accentrare nelle sue mani quanto più potere possibile e mano a mano che il conflitto si allontana inizia a farsi sempre più forte l’eco delle proteste interne.

In politica internazionale invece le cose vanno alla grande. Dopo essere riuscita a schivare il concreto rischio di diventare un protettorato britannico, l’Etiopia ottiene l’annessione dell’Eritrea (e conseguentemente di un FONDAMENTALE sbocco sul mare) raggiungendo nel 1952 la sua massima estensione territoriale e l’ingresso nelle Nazioni Unite in qualità di membro fondatore.

Quando nel 1953, in piena Guerra Fredda, ogni nazione del mondo deve dichiarare di quale superpotenza fosse la BFF (Best Friend Forevar) Selaissè ha pochi dubbi e si lancia fra le braccia degli USA, fornendogli una fondamentale base aereo-navale nel Mar Rosso e ricevendo in cambio un’aviazione e diverse unità navali praticamente a costo zero. Nonostante questo le doti diplomatiche dell’imperatore permettono all’Etiopia di non diventare uno dei tanti stati-fantoccio del pianeta e sebbene restino in vigore gli accordi militari con l’America si riescono a intrattenere importanti relazioni commerciali con l’URSS.

Voi chiamatelo doppiogiochismo se volete, in fondo è solo politica.

Verso gli ultimi anni della sua vita il nostro protagonista diventa (a ragione) molto sospettoso della sua stessa corte, sventa un’impressionante serie di tradimenti ma può poco quando nel 1974 un colpo di stato della giunta militare comunista, il cosidetto ‘Derg’ capeggiato a Menghitsu Hallé Mariàm, gli si rivolta contro, imprigionandolo nel palazzo imperiale.

Un uomo solo al comando è potente, ma anche facile da eliminare.


Viene assassinato CON UN CUSCINO il 27 agosto 1975 e per ordine di Mariàm e il suo corpo seppellito tre metri sotto il pavimento di un bagno del palazzo “per poter evitare che il suo fantasma esca dalla tomba per perseguitarci”.

Dopo il crollo del regime comunista le sue spoglie vengono ritrovate e tumulate nel 2000 all’interno della cattedrale della Santissima Trinità di Addis Abeba, ponendo definitivamente fine alla storia dell’ultimo imperatore etiope.

Postilla sull’introduzione a tema religioso di questo post: nel 1930 in Giamaica prende piede fra la popolazione nera un movimento politico religioso, il Rastafarianesimo. Esso segue le linee guida del cristianesimo ortodosso etiope e si incentra sulla venerazione della figura di Hailè come SECONDA REINCARNAZIONE DI GESÙ CRISTO RITORNATO SULLA TERRA PER LIBERARE IL MONDO (E LA POPOLAZIONE ELETTA DI COLORE) DAL TERRORE NAZIFASCISTA.

Va detto che questa seconda reincarnazione è morta soffocata da un cuscino, almeno la crocifissione era più d’effetto.

Ma vuoi mettere?

Luca Porrello

Vivo in un bosco. Soffro di insonnia. La combatto scrivendo (e bevendo). E' partito tutto così. Se vi è piaciuto quello che avete letto cercate Personalità Buffe anche su Facebook.

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